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Le lettere di Baretti
Sono trascorsi tre secoli dalla nascita a Torino nel 1719 di Giuseppe Baretti.
Scrittore e poeta, autore di versi burleschi e critico polemico della rivista “Frusta letteraria”, oltre che difensore di Shakespeare dalle accuse di rozzezza rivoltegli da Voltaire, ha avuto l’ammirazione di Piero Gobetti che nel 1924 ha intitolato “Il Baretti” la rivista da lui fondata nel 1924.
Giovane impiegato in una azienda commerciale, poi traduttore delle opere di Corneille, poco più che trentenne il letterato piemontese si trasferisce a Londra dove pubblica opere di diversi autori italiani e compone brani musicali. Conosce Sir Joshua Reynolds, il grande artista inglese che lo ritrae in atteggiamento pensoso con un minuscolo libretto vicino agli occhi.
La decennale residenza londinese si interrompe col lungo viaggio verso l’Italia “attraverso l’Oceano Atlantico, il Portogallo, l’Estremadura, il regno di Toledo, la Castiglia Nuova, l’Aragona e la Catalogna sino a’ monti Pirenei: quindi pel Rossiglione, per la Linguadoca e per la Provenza sino in Antibo: poi sull’acque del Tirreno lungo la costa della contea di Nizza, del principato di Monaco e della Liguria sino a Genova; e finalmente per l’Alessandrina, il Monferrato e parte del Piemonte sino alla prefata città di Torino sua patria”. Il resoconto è stato pubblicato nel 1762 sotto l’originale forma delle “Lettere familiari”, vivaci e originali ma “fittizie” perché redatte sugli appunti di viaggio. Di particolare interesse quella curiosamente sottotitolata “Descrizione burlesca d’un disastroso viaggio da Asti a Moncalvo”, che è stata oggetto del “Viaggio d’autore” pubblicato sulle pagine di questo giornale il 2 aprile 1993. Per la rottura di una ruota della carrozza il letterato viene coinvolto alle porte della città monferrina in un normale incidente che egli paragona con esasperata parodia ad una “bolgia dantesca” da cui esce tuttavia esce incolume per proseguire a piedi con le calze macchiate di fango.
Ma la spiacevole disavventura svanisce subito davanti all’invitante “piattelletto di tartufi” il cui profumo lo ricompensa con “cento pizzichi amorosi al naso e alla gola”.
Dionigi Roggero