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Elio Gioanola: Memorie di cinquant’anni orsono

La tentazione del racconto -Cesare Pavese

 

Recupero tre le vecchie carte conservate in un angolo della libreria le pagine introduttive di quello che avrebbe dovuto essere una specie di romanzo, rimasto però congelato alle prime decine di pagine e mai più ripreso, anche se la tentazione del racconto in me è sopravvissuta si può dire dall’infanzia e, addirittura, ripresa dopo decenni e i qualche modo realizzata in cinque o sei prove narrative,  regolarmente scritte e pubblicate con giusto insuccesso.

Ecco dunque l’incipit affidato a quell’antico tentativo: “Adesso mi sono davvero deciso. O comincio oggi o non comincerò mai più, questo è sicuro. Sono vent’anni che devo mettermi a scrivere un romanzo: quando avevo tredici o quattordici  anni, sapevo già che la mia vita avrebbe avuto un senso soltanto se fossi diventato uno scrittore. Vent’anni e più rappresentano un enorme spazio di vita, non so nemmeno dire come abbia fatto resistere per tutto questo tempo, con dentro di me l’angoscia di non riuscire a fare l’unica cosa per la quale mi sentivo chiamato.

Di mezzo di sono state evidentemente tante cose, tra cui alcuni libri di un certo impegno, tra i quali almeno uno di  rilievo, la monografia dedicata a uno scrittore che amo e che addirittura appartiene a mie memorie vive, trattandosi di Cesare Pavese, parente della mia madrina di battesimo Pavese Palmina, sua compaesana di Santo Stefano Belbo. Questo non significa molto, ma avere conosciuto il luogo natale dello scrittore, in alcuni soggiorni post- bellici da me fatti nei luoghi dei suoi libri più importanti è stato decisivo per il mio lavoro. Ecco, per consolarmi in questi anni in cui macinavo l’angoscia della mia impotenza, mi dicevo che in fondo non riuscivo a scrivere perché non trovavo in me argomenti ricchi d’interesse; non era forse  maglio per me se avessi scritto sull’autore che mi offriva tante consonanze ambientali e addirittura affinità quasi parentali.

Ma il mio sogno vero era di riuscire ad essere un autore di autonomo valore, non uno scrittore  di scrittori e Pavese dunque poteva al massimo rappresentare una modalità narrativa affine ai miei sentimenti, ma niente di più. L’impegno che sentivo urgere in me era quello di fabbricare storie che stessero in piedi per autonoma efficacia, in un’epoca come la nostra che viene dopo la riduzione a zero di ogni valore, perché dopo l’eroe positivo rappresentato dalla narrativa romantica, non esiste più nella letteratura moderna nessuna specie di eroe e lo spazio letterario è una specie di vuoto siderale in cui si stenta persino a sentire la propria voce. Perché, devo confessarlo, non mi accontento di un piccolo cabotaggio, nei mari chiusi delle varie tendenze letterarie, sia quelle ormai morenti del neorealismo che quelle rumorosamente impersonate dalla cosiddetta neo-avanguadia. Da questo punto di vista avere scritto nulla fino a questo momento, evitando le secche appena indicate, potrebbe anche essere una salvezza, come se non si fossero sprecate energie percorrendo strade improduttive e soltanto velleitarie. Resta la ricerca, rappresentata di grandi scrittori della modernità, di dare voce alla caduta di tutti i valori positivi del passato, nell’angoscia disperata del vuoto senza direzioni. Mi sembra che senza questa “cognizione del dolore” non ci sia oggi spazio per una letteratura davvero creativa. Come potevo a tredici anni sapere che avrei dovuto scrivere senza avere la minima idea di quello che avrei potuto dire? E nello stesso tempo non essere grado, per tanti anni dopo, di esprimere questa volontà quasi dolorosa di una parola che non voleva venire alla luce? E ancora adesso, a trentacinque anni compiuti proprio oggi, come faccio ancora a dare credito all’illusione di diventare quello che non sono riuscito ad essere fino ad oggi? Cos’è mai che mi fa cedere che devo dire qualcosa anche quando ho constatato, in tutto questo tempo, che in fondo  non ho niente da dire? Eppure è tanto forte l’impulso ad esprimere questo nulla, che dovrò pur tentare di dire qualcosa”. [Posso capire il mio imbarazzo d’allora, anche se non è mai morto in me il desiderio di fare narrativa.]

Elio Gioanola    

Pubblicato martedì 4 giugno a pagina 15