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Il Grido di Monferrato “Munfrà!...Lion !”

....perché Monferrato è leone?

 

 

Chi ha partecipato alla suggestiva inaugurazione della 64° festa del vino del Monferrato avrà seguito la rappresentazione realizzata dai Maestri Coppieri di Aleramo e dai Cavalieri dell’Ordine della Lancia; insieme, prima del taglio del nastro da parte del sindaco Emanuele Capra hanno rappresentato Aleramo nell’atto di consegnare ai suoi coppieri un grappolo di vite, simbolo delle fertili terre Monferrine e, questi ultimi, hanno offerto al Sindaco e a tutta la città una coppa di vino, simbolo del lavoro e della tradizione locale. Infine Aleramo ha invitato tutti i presenti a gridare l’antico grido di Monferrato: “Munfrà, lion!”

Ma perché Monferrato è leone? dialettalmente Munfrà lion? Da dove proviene? Mi sembra giusto dare una spiegazione soprattutto storica a questo grido che di diritto appartiene a tutti noi: al Monferrato e a Casale la sua capitale.

Prima di discutere del “grido” di Monferrato è doveroso fare una premessa sul significato di questo rituale senza epoca e tempo.

Un grido, quando sa manifestarsi contemporaneamente all’unisono da una moltitudine di persone, evoca indubbiamente stupore ed emozione intensa e le sue origini insondabili non vanno ricercate né nella nostra storia né nella nostra cultura, ma nella natura umana. Ancor oggi possiamo constatare il potere che un grido corale può evocare assistendo in uno stadio ad una partita di calcio, partecipando ad un concerto di musica Rock e così via.

Nella storia antica questo urlo ben presto si tramutò in un effettivo “grido di guerra” che rappresentò indubbiamente un’arma in più in battaglia, in quanto generava timore; insomma…chi gridava più forte spaventava e sovrastava il suo avversario!

Fu soprattutto nel medioevo però che il “grido” si accentuò in simbolismo e valore; tanto che divenne comune per la nobiltà, oltre al proprio motto di famiglia (che già di per sé esprimeva con una breve frase un principio morale, o una caratteristica peculiare che ne esaltasse le origini), adottare anche un proprio grido.

Il Re lanciava questo grido per infondere coraggio alle sue armate ma analogamente anche un nobile o un Cavaliere di ben più umili origini ne potevano far uso: questo rituale, acquisendo prestigio e soprattutto onore, divenne di proprietà della classe nobiliare medievale e di coloro ad essa sottoposti. Esso generalmente era costituito da poche parole ma d’indubbio significato, affinché potesse essere gridato anche da migliaia di persone contemporaneamente e con tutto il fiato in gola, poiché questa era la sua vera forza per ottenere un risultato vincente.

Nacque così carico di significato il vero “grido” che oggi, così erroneamente, intendiamo come esclusivamente “di battaglia”. Il “grido” infatti, dal XII/XIII secolo in poi, assunse un ruolo importante non solo in occasione di guerra: la nobiltà di allora, soprattutto quella che seguiva una vera etica Cavalleresca, non banalizzava il suo autentico significato e pertanto il “grido” non veniva utilizzato esclusivamente durante il clangore delle armi ma, ancor più nobilitato e soprattutto gridato, in occasioni celebrative dall’alto significato simbolico, in momenti di reale giubilo o ancora in un grido di buon auspicio che infondeva speranza nelle genti.

Il “grido” acquisì ancor più prestigio quando, trasformandosi, non fu più rivolto esclusivamente a ricordare nobiltà e valore di una famiglia ma si personificò in un intero popolo: l’esempio più tipico, gridare il nome del Santo patrono di una località o di un regno, rappresentò il primo simbolo di coesione sociale. Ancor meglio, quando il “grido” si personificò in una terra, il grido di Monferrato ne è un esempio!

I Marchesi di Monferrato che governarono queste terre dal XI al XVI secolo, sia quelli di stirpe Aleramica che Paleologa, furono certamente potenti famiglie alla pari di quelle reali, e ancora oggi, come allora, noi li ricordiamo con un unico nome e un’unica terra, quella di Monferrato!

Il Marchese Bonifacio di Monferrato, comandante della IV crociata e re di Tessalonica, titolo ottenuto dopo la conquista di Costantinopoli nel 1204, non fu solo un uomo d’azione, egli fu anche un colto estimatore di letteratura; furono quelli gli anni in cui maturò in occidente l’ideale di avventura così bene celebrato dai romanzi arturiani e dalle canzoni di gesta. Fu così che il fiorire dell’ideale Cavalleresco decantato dai più affermati poeti medievali trovò vera ospitalità presso il buon Sire di Monferrato; egli dopo la metà del XII secolo si circondò nella sua corte itinerante dei più illustri trovatori come Peire Vidal, Gaucelm Faidit, Bertrand de Born e soprattutto Raimbaut de Vaqueiras, i quali furono da lui accolti con grande generosità. In Particolare il provenzale Raimbaut de Vaqueiras ritenuto uno dei primi autori del volgare italiano e ispiratore dei sommi poeti Petrarca e Dante, divenne ben presto Cavaliere e amico del Marchese e con lui valorosamente incontrò anche la morte in battaglia.

Le fonti storiche medievali ricordano questa antica terra di Monferrato e le gesta dei suoi Marchesi, ben conosciamo anche l’araldica dell’antica famiglia di Aleramo, ma il suo “grido”? La menzione più antica che possiamo ragionevolmente individuare ci è stata tramandata proprio da quel “prode giullare” Raimbaut de Vaqueiras al servizio del suo Signore Bonifacio. Raimbaut in occasione dell’imminente IV pellegrinaggio armato in terra Santa, poi dirottato a Costantinopoli, probabilmente nell’autunno del 1201 compose una “canzone di crociata” in cui compare in una strofa:

“…E· il Campanes dreisson lor gonfalon,

E· l marques crit «Monferrat e· l leon!»

E· l coms flamencs «Fladres! » al grans colps dar,

E fieira· i qecs d’espaz’ e lansa· i fraigna,…”

Generalmente tradotto in:

“…E quelli della Champagne drizzino il loro gonfalone

E il marchese gridi «Monferrato e il leone!»

E il conte fiammingo «Fiandre!» nell’assestare gran colpi,

E ciascuno lì ferisca di spada e franga la lancia”

Il testo in realtà dà adito a diverse ipotesi, tutte pur sempre valide. Sicuramente già il solo grido “Monferrat!” (Monferrato!) fu utilizzato dai Marchesi monferrini e dal loro popolo; ma riguardo a “leon!” (leone!) servono alcune precisazioni.

Raimbaut ci ha lasciato alcune importanti epistole in cui non solo glorifica il suo Signore Bonifacio, ma ricorda anche molti particolari di avventure vissute con lui e diversi fatti d’arme realmente avvenuti; è quindi realistico che egli abbia udito personalmente questo “grido”.

La simbologia del leone (molto diffusa nell’araldica non solo medievale) è ovvia: la forza, la nobiltà, il coraggio. Sappiamo che anche il cervo fu un’animale simbolico usato dai Marchesi di Monferrato ma il “grido” è ben diverso dall’emblema disegnato e raffigurato. Considerando che nell’epoca compresa dalla metà del XII al XIII secolo i Marchesi di Monferrato ebbero grande rilievo in occidente, imparentati con Re e Imperatori essi stessi ricoprirono cariche regali, il grido “Monferrato è il leone!” pare proprio che ben gli si addica.

Un’altra ipotesi legherebbe invece il Monferrato a Venezia.

La quarta crociata guidata da Bonifacio e ai cui condottieri il De Vaqueiras, lui stesso Cavaliere al seguito del Marchese, rivolse la sua canzone vide tra i suoi partecipanti altri influenti e potenti uomini. Innanzitutto Baldovino Conte di Fiandra e di Hainaut: egli al suo seguito conduceva l’esercito più numeroso e, successivamente alla conquista di Costantinopoli, fu eletto primo Imperatore latino d’oriente; Raimbaut nel suo componimento ci riporta il suo Grido “Fladres!” (Fiandre!).

Senza dubbio però l’uomo più potente che vi partecipò fu il Doge di Venezia, dalla tempra incrollabile, Enrico Dandolo; egli pur quasi cieco e con novantacinque anni sopportò una lunga traversata navale e la successiva guerra senza alcuna difficoltà. Il Doge aveva in giogo sia il Marchese che il Conte di Fiandre: entrambi gli erano debitori per le spese di allestimento della flotta navale (circa duecento tra galee e uscieri) che servi per il trasporto dell’armata.

Come ancora oggi già nel duecento San Marco l’evangelista, rappresentato in un leone, era il santo patrono veneziano; si potrebbe pertanto ipotizzare anche che il trovatore provenzale quando scrisse: E il marchese gridi «Monferrato e il leone!» avesse intenzione di glorificare maggiormente Bonifacio di Monferrato sottintendendo che avesse facoltà di governare anche le truppe veneziane (rappresentate dal leone). È anche vero però che in quegli anni l’emblema del Leone Marciano, pur già in uso a Venezia, non avesse ancora il significato e la diffusione che ebbe nei secoli successivi fino ad oggi.

Non è semplice pertanto accertare il vero significato di questo “grido”; certo è che ci è stato tramandato e che Bonifacio, così come suo padre e i suoi fratelli, furono uomini che in nobiltà e in coraggio si comportarono come veri Leoni! A buon diritto quindi “Monferrato è il leone!” e quel grido antico e orgoglioso possa ancora oggi essere da tutti noi urlato a gran voce, portatore di gioia e buone venture: Monfrà Lion!!!

Stefano di Monferrato

(Stefano Fracchia)

Hastatorum Ordo Militum