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San Francesco e Francescani in Monferrato

di Aldo Timossi

Ottocento anni orsono, Francesco d’Assisi dettava, aiutato dal cardinale Ugolino di Anagni (futuro papa Gregorio IX), quella che conosciamo come “regola bollata” dell’Ordine francescano. Nei secoli successivi, il francescanesimo ebbe ampia diffusione anche in terra monferrina, come testimoniano ventennali ricerche del casalese Bruno Ferrero su francescani e francescanesimo a Casale tra il Tredicesimo e il Sedicesimo secolo. Peraltro, Casale è una delle poche città piemontesi che non può annoverare una visita del Santo.

Scrive il canonico Vincenzo De Conti che San Francesco venne anche in Monferrato e fece “edificare varii conventi”. Il viaggio dell’assisiate è del 1214, pur se in qualche fonte si cita l’anno prima o l’anno dopo; incertezza cronologica che – ben sottolinea lo storico Franco Cardini - perseguita altri momenti della sua vita, compresi l’anno di nascita e quello della conversione! Francesco è ormai conosciuto in molte parti d’Italia. Nel 1212 ha tentato una spedizione per convertire i Saraceni, si è imbarcato ad Ancona, ma una tempesta di mare ha spinto la nave verso la Slavonia (l’attuale Croazia), quindi è tornato in Italia, iniziando un pellegrinaggio nelle zone centrali per la sua opera di evangelizzazione, senza però allontanarsi troppo dalla Porziuncola.

Ha in animo di raggiungere il Marocco, attraverso Spagna e Francia (parla correttamente il francese, imparato dalla madre, Madonna Pica, nobile provenzale) Dopo la Pentecoste del 1214, appena guarito dall’ennesima febbre (“or terzana, or quartana, ma sempre gagliarda”, annota a fine ‘800 un biografo, fra Candido Chalippe) inizia la camminata, accompagnato da alcuni compagni. In Piemonte, al tempo è ancora genericamente indicato come terra lombarda, “è accolto con singolare dimostrazione di stima e di onore”.

Ancora dal De Conti, sappiamo che, mentre si trova ad Asti, è “giunta a tal segno la venerazione per questo patriarca dei poveri, che dal Monferrato con somma energia gli mandano un messaggio perché venga a fondare un qualche convento”. Comprensibile quella “energia”, sono tempi nei quali la religiosità è molto sentita, la Chiesa è forte avendo vinto il braccio di ferro con l’Impero, inferno e paradiso sono visti con estrema concretezza, luoghi di sofferenza e fiamme o di vita felice, quindi i “nostri antenati” si preoccupano di acquisire meriti durante il cammino terrestre!

Francesco non se la sente di fare una diversione, è impegnato ad Asti, dove gli è stata donata una chiesa, la Madonna delle Paludi (“Mariae, in loco palustri”); vi sistema anche un piccolo convento, insediandovi - scrive Sebastiano Provenzale in “Asti sacra” – alcuni novizi “muniti della sua Regola ed osservanza a ciò potessero instruire li successori”. Sul convento gli storici concordano, sull’esistenza del tempio le cronache divergono, addirittura fissandone la costruzione mezzo secolo dopo. E’ però quasi certo che il Santo mandi uno dei suoi compagni verso il Casalese.

Il fraticello si ferma a Moncalvo, qualcuno gli offre un rustico, un terreno, forse del denaro (i Francescani sono poveri, personalmente e come Ordine, ben diversi, ad esempio, dai più danarosi Cistercensi che comprano grange nel Vercellese) e fabbrica “dal lato di mezzogiorno nella piccola valle, che appunto si chiama Valletta, ove nasce il torrente Grana, una piccola chiesa sacrata a S. Genesio, ed una piccola casa ad uso di ricovero pe’ suoi compagni”.

La notizia si legge in “Moncalvo, brevi cenni storici” (edizione 1877) di Giovanni Minoglio, che di fatto riprende, con riserve, cronache precedenti. Sulla vicenda esprime dubbi padre Giacinto Burioni (“Antichi conventi francescani in Moncalvo”, 1941), lasciando immaginare si tratti di una qualche “malsicura” tradizione. Certo è che in città nel 1272 il marchese Guglielmo Settimo fa comprare alcune vecchie case in contrada Serra, e costruire chiesa e convento dei Francescani, “non più sicuri nel loro primo sito” che dunque sarebbe esistito! Oggi il tempio si presenta nella ricostruzione di metà Seicento, su progetto del moncalvese fra Vincenzo Rovere, salvo la facciata realizzata nel 1932.

Tornando al viaggio del poverello d’Assisi, ecco la tappa di Vercelli. E’ l’anno 1215 (così annota Renato Rhorbacher in “Storia della Chiesa cattolica” del 1862, e sta tornando dalla Francia, pur se qualche fonte come il canonico Canetti in “Notizie di Giovanni Gersenio abbate” del 1879 indica la sosta durante l’andata). E’ nel capoluogo vercellese su invito dal vescovo Ugo di Sessa. Vi fonda un “convento de’ suoi figli”. Verosimilmente conosce il potente cardinale Guala Bichieri, negli stessi mesi a Vercelli per realizzare il progetto di creare una comunità canonicale regolare.

Ancora sulla strada del ritorno, e superato un nuovo momento di malessere (grazie, si legge nelle “Historia serafica” di fra Salvatore Vitale, ad un buon pasto procuratogli da un “angelo in forma d’un cavalier nobile”), arriva ad Alessandria e insedia una piccola comunità conventuale, nel sito dove, decenni più tardi, si alzeranno le mura di un convento e di una chiesa dedicati a San Francesco. Le cronache riferiscono anche di un passaggio ad Acqui, “accolto con somma venerazione”; lascia in città un compagno per il quale i fedeli costruiscono una chiesa. Il De Conti pone questa tappa nel 1219, ma si tratta di evidente svarione, essendo in tale anno Francesco impegno in Terrasanta con la quinta crociata. E’ invece nel giusto quando scrive che nel Monferrato si è diffusa la fama di santità di quell’umile frate, e che anche i Casalaschi - in città i primi fraticelli sono arrivati intorno al 1233 - gli sono molto devoti, tanto da dedicargli una chiesa “dopo il suo transito al Paradiso”. Si riferisce alla prima chiesa e convento, ultimati nel 1295 in Cantone Lago (fra le attuali Piazza Coppa, via Lanza, via Palestro, con qualche sbocco anche in via Salandri) che avranno vita breve; riprendendo le ricerche di Bruno Ferrero: “nel 1345 gli edifici vengono abbattuti completamente, seguendo un piano di ricostruzione voluto dal marchese Giovanni II, artefice di un disegno politico-religioso che mirava ad arginare i poteri vescovili (della diocesi di Vercelli) sul Marchesato, promuovendo l’insediamento dei francescani, Ordine non condizionato dall’influenza vescovile; la planimetria della chiesa si è sostanzialmente mantenuta inalterata fino all’inizio dell’800, quando il convento fu distrutto”.

Il Francescanesimo si diffonde con vigore, destinato a diventare - dice spiritosamente lo storico Alessandro Barbero - una “grande organizzazione multinazionale”, assimilabile nei tempi attuali alla Apple di Steve Jobs! Lo studioso Pier Giorgio Maggiora informa su Valenza, dove i frati minori arrivano nel 1229 e “ottengono subito un enorme successo”, costruiscono una piccola chiesa, “poi, accanto e su di essa, una suntuosa basilica iniziata nel 1322 e conclusa nel 1332 con la costruzione attigua di un convento, il tutto al centro della città”, ora piazza Verdi-Teatro Sociale.

Da Casale, grazie alla fama del santo, nel 1273 un quattordicenne di nome Ubertino parte per il convento a Genova. Diverrà famoso, Dante lo cita nel canto XII del Paradiso.

Nei secoli successivi: è del 1422 la costituzione di una comunità - una dozzina di frati - con chiesa e convento a San Maurizio di Conzano; a Trino si stabiliscono in San Bernardino nel 1433, e un secolo dopo si trasferiranno in Santa Maria in Castro, oggi San Francesco, sulla piazza Fratelli Comazzi; nella prima metà del ‘500 fondano chiesa e convento a Monte Sion di Mombello; a Crea arriveranno nel 1820, per congedarsi a fine 1992, sostituiti dal clero diocesano. Nell’attigua Lomellina, i Francescani arrivano a Mortara nel 1418, chiesa di San Lorenzo; nel 1450 aprono il convento di San Bernardino da Siena; da fine ‘500 sono insediati in San Pietro Martire a Sartirana.

aldo timossi

 

FOTO. Capitelli della chiesa di San Francesco, in cantone Lago, da Il Monferrato del 15.3.1980