Notizia »

Personaggi: il casalese Ignazio Gajone

di Aldo Timossi - Nasce nel 1725 - Prima opera “Il Dolenanzio”

Eganio Agizino. Con questo anagramma del vero nome, nel 1742 si presenta alla ribalta della cultura piemontese il casalese Ignazio Gajone. Personaggio sconosciuto in città, solo “Il Monferrato” del 30 marzo 1872 ne fa un rapido cenno, citandolo tra gli ingegni monferrini che spaziarono “pei campi della scienza e delle lettere”. Eppure fu di grande spessore, almeno per aver avuto, tra pochi, il coraggio di contestare radicalmente alcune teorie scientifiche dell’epoca, ed in particolare del ben noto Isacco Newton.

Nasce a Casale circa il 1725: non esiste una biografia, si deduce da scritti che gli attribuiscono 17 anni quando stampa la sua prima opera dal titolo misterioso, “Il Dolenanzio” (taluno ha tradotto dal greco come “contrario della frode”) ben due tomi di complessive 800 pagine, editi a Milano nel 1742. Un genio nemmeno tanto piccolo, che si trova in mezzo ad una querelle tra due noti poeti e letterati.

Da un lato c’è il suo maestro all’Ateneo torinese, Teobaldo Ceva, gesuita fattosi carmelitano. E’ autore tra l’altro di un’antologia poetica per le regie scuole del Piemonte, edita nel 1735 e ristampata due anni dopo, nella quale c’è abbondanza di poesia eroica, sacra e morale, e ben poco di quella amorosa, in particolare del Petrarca. In alcune pagine si ridicolizza apertamente la pretesa del sacerdote giurista padovano Biagio Schiavo, secondo cui le poesie petrarchesche sono fondamentali per l’educazione dei giovani. Questi risponde con una sorta di dialogo in due tomi (“Il Filatete”, del 1738) per ribadire l’esclusività del modello di Petrarca, stroncando l’operato dell’avversario. Da che mondo e mondo, rivalità e pesanti schermaglie tra intellettuali.

Gajone si schiera ovviamente dalla parte del maestro, ne difende le posizioni e da ciò nasce la stesura de “Il Dolenanzio”, che lo fa conoscere nei circoli letterari dell’epoca. Defunto padre Ceva nel 1746, inizia la propria attività di scrittore. Tante opere, dai sedici canti del poema “L’uomo redento”, ai sonetti de “La Religione dimostrata”, ad alcune tragedie (una piccola chicca: la “Zulima” venne all’epoca definita come “scritta in una specie di alessandrino castigliano”). Potrebbe essere ben più fertile se al tempo stesso non si dedicasse alla carriera pubblica e a quella diplomatica, che lo portano a vivere molto tempo a Madrid e a Napoli, arrivando alla dignità di Primo ufficiale della Segreteria di Stato del Regno di Napoli.

Trova comunque tempo e voglia per dedicarsi agli studi che lo portano alla contestazione, di fatto una vera stroncatura, delle teorie di scienziati, matematici, astronomi, come Cartesio, Galileo, Torricelli, Copernico, Huygens. Il risultato di tanti studi esce nel 1779 a Napoli in due volumi di oltre 350 pagine e 16 tavole, che in copertina ben indica l’autore come “di Casale di Monferrato”. Obiettivamente un poco pieno di sé, giudica che si siano limitati ad osservare pochi fenomeni, quindi non siano arrivati a far crescere in modo corretto la scienza, rimasta in una sorta di infanzia. E’ il caso eclatante di Newton, che dalla caduta di una mela, mentre prende il fresco sotto un albero, si chiede il “perché cade verso il centro della Terra, e non trasversalmente o verso l’alto”, quindi elabora - peraltro in una ventina d’anni di studi - la nota teoria di gravitazione universale.

Gajone sostiene di essere il solo a fondare correttamente “un nuovo sistema, sopra verità più numerose, più universali e più solide”, peraltro con “calcoli tanto semplici”. Nell’ultimo capitolo o “articolo XXIV” dell’opera, tratta di Sole, comete, pianeti, maree; taccia addirittura Newton di puerilità., invitando quindi matematici e astronomi ad ammettere gli errori e a considerare come “false e ridicole” le loro teorie.

Tanto eclatante trattato esce con la premessa laudativa di revisori e professori dell’Università partenopea (Gajone è collega docente, per di più alto funzionario di Corte!), che giudicano il “nuovo sistema avere unito un intiero sistema di fisica, metafisica e morale, che da molto tempo nella repubblica letteraria desideravasi”. Ovvio il coro di reazioni opposte. Ancora fresca di stampa, l’opera è recensita dal periodico “Efemeridi letterarie di Roma”. Sul bollettino del 3 luglio 1779, già l’incipit è una stroncatura. Si legge di “madornali spropositi, ogni linea, ogni proposizione incidente presenta qualche insigne stravaganza e qualche solenne assurdità”; in sostanza l’autore si sarebbe sforzato di “travisare le più inconcusse verità di meccanica”.

Ignazio Gajone cessa di vivere nel 1792, dopo essere stato insignito del Cavalierato del Sacro Ordine Militare Costantiniano. A distanza di secoli, la sua figura e il suo operato sono quasi del tutto dimenticati. Solo quei due tomi del “sistema appaiono come mosche bianche in aste internazionali. Rimane però, a torto o ragione, il coraggio di un uomo di cultura che non si fermò di fronte al rituale “ipse dixit” (l’ha detto lui) riferito a grandi scienziati, ed ebbe il coraggio di dire comunque la sua.

aldo timossi