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La dedica di padre Antonio

Crea, storie inedite con Aldo Timossi

“Santuario di Crea – maggio 88 – ad Aldo Timossi – p. Antonio”. E’ uno degli autografi cui tengo particolarmente. Chi scrive è padre Antonio Brunetti, guardiano della comunità religiosa di Crea, primo presidente del Parco nato nel 1980 e, per questo suo impegno, condotto sempre con robusta decisione non disgiunta dalla mitezza francescana del cuore e dalla cordialità del costante sorriso, definito non a torto il salvatore di Crea.

Ne aveva caparbiamente sponsorizzata la tutela nei tanti accessi in Regione, con il presidente Aldo Viglione, la consigliera casalese Anna Maria Ariotti, gli assessori Luigi Rivalta e poi Ugo Cavallera. 

La dedica sta sul retro di un’immagine della “veneranda statua della Madonna”, ritratta dopo il restauro, senza il ricco manto pieno di ricami e dorature. Una Vergine con Bambino “sbiancata”, dopo il lavoro eseguito nel 1981 dal professor Gian Luigi Nicola, che ha ripulito la sacra icona della patina scura (dovuta probabilmente al fumo delle candele), facendo un poco svanire la poetica immagine della "Madonna bruna", che ben si attagliava all’interpretazione figurativa del versetto del Cantico dei Cantici di re Salomone, laddove recita: "Bruna sono ma bella, o figlie di Gerusalemme”. A ben pensarci, l’ha riportata però allo splendore originario, come dice il ritornello di un noto inno mariano: “Bella tu sei qual sole / bianca più della luna”!

Tanti altri pensieri mi legano a quel Santuario, sul quale salgo non di rado, il mattino presto, quando i parcheggi sono vuoti, la basilica in penombra silenziosa, i sentieri verso il Paradiso deserti. Tornano alla memoria figure come il trinese padre Isidoro Olivero, il buon sacrestano-tuttofare fra Alberto e le frustate sulle gambe con il cordone del saio, Gigi Merlo attivo presidente del Parco.

Nel sepolcreto dei frati, il memento di un parente, padre Anacleto Ferrarotti, di Morano sul Po (1886-1922). E ricordi di cose pur minute, come i soggiorni con i nonni materni, nell’alloggio sopra il bar, e la quotidiana lotta contro l’invasione di formiche; la favola dell’albero secolare al quale avrebbero appeso Pinocchio; l’aggrapparsi alla parete calcarea dietro la piazza, per raccogliere qualche conchiglia dell’antico sedimento marino; gli occhi sgranati di fronte alle piccole e grandi cose, in un Museo che oggi è purtroppo chiuso, con reperti che immagino in parte ammalorati e da buttare!

Le storie, le vicende, le leggende, i fasti e nefasti del Sacro Monte, sono però talmente numerosi, che ogni volta – specie girando su internet - scopri qualcosa di nuovo, di originale. Dai tempi nei quali, su questo colle monferrino, nel IV secolo venne a rifugiarsi il santo vescovo Eusebio, fino ai giorni attuali, con il posizionarsi di Crea nella parte alta di classifica (18° posto a livello nazionale) dell’iniziativa FAI “I luoghi del cuore”.

Della statua, ormai si sa che risale al secolo tredicesimo. In tempi passati, quando le tecniche di datazione dei reperti erano molto meno perfezionate, si volle farla risalire ai tempi di Eusebio, portata sul “monte” di Credona dalla Terrasanta, dove sarebbe stata scolpita addirittura da Luca evangelista, buon maneggiatore di penna e scalpello! In realtà, secondo un antichissimo manoscritto del monastero di Nonantola, citato nel ‘600 dallo storico abate Ferdinando Ughelli, sul colle il Santo vescovo “si fabbricò povero tugurio con un oratorio in onore della madre di Dio, e vi si fermò per lo spazio di tre mesi, godendo della conversazione di quei popoli (…) divoti a venerare in quel sacro oratorio Maria Vergine”. Non si citano statue! Poteva esserci o non esserci un primitivo simulacro, di certo non quello che oggi si venera, pur se ancora a fine ‘800, le corpose (476 pagine) “Notizie storiche del santuario di Nostra Signora di Crea”, compilate dal sacerdote Corrado Onorato, lasciano aperta l’ipotesi dell’originalità. Per chi volesse perdersi tra quelle lunghe dissertazioni, l’opera è disponibile sul web, nella biblioteca francese Gallica (https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k872208h.r=corrado%20onorato?rk=21459;2).

Ancora a proposito del lontano fondatore Eusebio, il manoscritto nonantolano riporta che in un secondo rientro a Credona, per fuggire alla persecuzione ariana, nei mesi di eremitaggio “scrisse di propria mano i sacrosanti vangeli, il quarto libro de quali ebbe dall'Altissimo tanta virtù, che per lungo tempo, servendone quelle genti per farvi giurare sopra, vedevasi subito scoperto lo spergiuro e con repentina morte puniti, o devenendo ciechi o zoppi, od invasi da demenza”. Facendo correre parecchio la fantasia, e leggendo alcune pagine dello storico lombardo Bernardino Corio (1459-1519), possiamo aggiungere che il Santo avrebbe calcato la terra già percorsa tempo addietro da un fabbro “ferrario”, dalla cui attività avrebbe preso nome il “monte-ferrato”. Curiosità, nulla più!

Le guerre e gli “strapazzi” dei secoli dopo il Mille, che videro il Monferrato guidato, con alterne fortune, dai diversi marchesi della dinastia paleologa, “aveano desolato e impoverito” anche la chiesa e il piccolo monastero di Crea, affidati alle cure dei Canonici di Vezzolano, e all’epoca circondati da un bosco incolto e senza alcuna costruzione. Divenuto quasi inabitabile, il santuario passa alle cure di un certo Tobia Pellati da Castellazzo, già religioso dei Serviti. Pare che lo stato di abbandono non trovi rimedio, e “la gente che prima traeva in gran folla a porgere omaggi di venerazione a questa Madonna, ora allontanavasi come tal sacro luogo fosse percosso dall'anatema, e grandissimo era lo scandalo”. Con l’assenso del Pontefice Sisto IV, il marchese Guglielmo VIII, uomo assai religioso, nel 1483 affida la gestione della basilica ai Canonici Lateranensi.

E’ tempo di rinnovamento. Il Monferrato ha nuovo peso, dal 1533 vi governano i Gonzaga, e tra meno di mezzo secolo diventerà Ducato. A inizio ‘600 i Gonzaga finanziano opere di restauro alla chiesa, tra l’altro facendo realizzare la Cappella di Santa Margherita e ipotizzando le cappelle intorno al monte, recuperano diritti e giurisdizioni usurpati, concedono ai religiosi privilegi temporali e prebende (donati 56 moggia di terra intorno a Trino e i redditi del molino di Gaminella di Mombello, e sottoposte alla loro cura le chiese di Serralunga e Pontestura) di fatto nominandoli loro vassalli, addirittura con il potere di condannare al carcere. Rifiorisce il culto, arrivano a Crea “dalle più lontane regioni personaggi di ogni sesso, d'ogni età, e condizione”. Nel 1608 – scrive lo storico De Conti – il piccolo priorato di tre confratelli sale alla dignità di abbazia, e negli anni successivi si amplia la chiesa con l’atrio, una nuova facciata, un robusto corridoio su due piani lungo il fianco nord. Il priore Secondo Pallio, casalese, diventa abate!

Una forte svolta positiva per il Santuario, arriva con l’avvio del programma di costruzione delle cappelle, che costituiranno il Sacro Monte, voluto sulla falsariga di Varallo, dove a fine ‘500 son già in piedi una ventina di costruzioni, metà di quelle definitive. In quel santuario è illustrata la vita di Gesù, a Crea si fa qualcosa di diverso, riferendosi alla vita della Vergine Maria, per comprendere infine i momenti di sofferenza e morte del Figlio, e concludere con il trionfo da tutti conosciuto come “Paradiso” ma in realtà dedicato all’Incoronazione della Madonna. Alfine saranno ventitré edifici, di foggia diversa (recente soggetto dei disegni, con i quali l’artista casalese Laura Rossi ha illustrato il calendario 2019), che nei secoli, e ancora oggi, come vedremo, saranno protagonisti di provvidenziali restauri.

Alla statua di Crea sono dedicate a metà/fine Seicento anche alcune monete, comunemente chiamate “madonnina”, e forse nello stesso periodo nasce anche la prima medaglia-ricordo votiva, con l’immagine della Madonna con Bambino ribattuta sul metallo di una moneta, il sesino, difettosa!  

Se il ’600 è l’epoca fasta per Crea, un momento nefasto, a dir poco delittuoso, giunge con la dominazione napoleonica. Con poche parole, così descrive il De Conti: “Questo santuario, sotto il governo Francese, cadde per le mani di gente che, ansiosa di far danno, atterrò parte del convento, rovinò molte cappelle e ridusse la chiesa in povertà, ma non le tolse la venerazione”. Di fatto, a fine dicembre 1801 - si legge in una vecchia cronaca - “il perfido cittadino Sallot, commissario francese, cacciati i frati, distrusse in un giorno quanto i frati avevano edificato da secoli. Abbatté i trofei de’ prodi crociati monferrini, vendette la ricchissima biblioteca a vilissimo prezzo, spiccò dai muri le numerosissime tavolette votive, e con zappe o rastrelli fece trarre sulla piazza ogni cosa ponendola all’incanto; e quanto non si poté subito vendere al domandato prezzo, tutto si gettò ad ardere in un gran fuoco sulla piazza, ove furono pure abbruciati moltissimi manoscritti”. Qualcosa finisce al Monte di Pietà di Asti. Senza quell’intervento idiota e barbaro, oggi gli storici avrebbero ottimi, originali materiali d’archivio sulla storia di Crea, e potremmo ammirare i trofei degli antichi Crociati monferrini: “Ben si sa che i pilieri e i muri del tempio erano coperti di elmi, corazze, maglie, lance, spade, ed armi di ogni genere”! Qualche colpa sul mancato utilizzo di quelle preziose carte, deve peraltro attribuirsi anche all’abate che, decenni prima, ne aveva rifiutata la consultazione al grande storico Ludovico Antonio Muratori, autore di monumentali e fondamentali opere sulla storia italiana.

Per intervento del vescovo, monsignor Teresio Maria Carlo Vittorio Ferrero della Marmora, si salvano dalla dispersione le reliquie del piede di Santa Margherita e della Santa Croce, e una bella pianeta appartenuta a Papa Pio V (il Papa di Bosco Marengo). Nel trasferimento alla Cattedrale di Casale, si perdono però le tracce del frammento della Croce!

Passata la buriana rivoluzionaria, per qualche tempo il Santuario è oggetto di compravendite e spostamenti vari. Ne abbiamo notizia dal ricchissimo repertorio http://www.artestoria.net/Indici/Bancadati.php.

Nel 1809, tal Giovanni Cavallo compra all’incanto chiesa, convento e sacro monte! Anni dopo, il Vescovo di Casale tornerà in possesso del tempio e di quanto restava del convento, e nel 1858-62 sarà ricomprato anche il sacro monte. Nel frattempo, la statua della Madonna sarà sottratta dagli abitanti di Forneglio, ma restituita un mese più tardi.

Singolare la storia dei confessionali, trasferiti nella Cattedrale di Casale, tranne due, di ottimo stile barocco, già finiti nell’ex convento francescano di Monte Sion (Mombello), poi acquistati dalla Parrocchia di Morano sul Po, nella cui chiesa di S. Giovanni Battista – pochi lo sapranno - sono ad oggi ancora presenti, ben conservati fin dal primo restauro del 1935, ad opera dei falegnami-artisti balzolesi Giovanni Biginelli e Aldo Boggione. 

Si apre quindi, con la fine dell’800 e l’avvento del secolo ventesimo, una stagione di restauri e valorizzazione per l’intero compendio del Sacro Monte.

aldo timossi

(1 – segue)