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Il vignotto di Elio Gioanola

La bellezza di Verga e il parallelismo con I Malavoglia

Mio padre nel dopoguerra aveva comperato una piccola vigna, due staia se ricordo bene, vicino alla strada per Valenza ancora tutta acciottolata.

Mi portava là sulla canna della bicicletta, almeno fino a quando sono stato un bambino magro e leggero come una piuma, diceva lui, preoccupato perché non mangiavo e non crescevo, ma io per il resto stavo bene, solo che non mi piaceva seguirlo quando andava a lavorare in quel pezzo di terra che, oltre al vignotto, aveva uno sgabello in salita dove mi sedevo annoiandomi e aspettando l’ora di tornare a casa.

Finì che non mi portava più, anche perché ormai ero cresciuto e sul sellino non trovavo più posto, ma anche perché non potevo giocare come volevo.

A dire la verità, non sono più andato per il dolore che avevo provato quando il merlo aveva fatto il nido nella siepe che separava la vigna dal campo e mio padre aveva lasciato crescere  la nidiata fino a quando credé bene di prenderla e portarla a casa, per cercare di allevare quei poveri pulcini, che invece in pochi giorni morirono senza la madre che li curasse.

Ci ritornai quando fecero lo scavo per il pozzo, o meglio per la cisterna, perché alla profondità di una decina di metri non avevano trovato l’acqua.  Chi aveva dato quella speranza era uno che di pozzi ne aveva trovati tanti, che buttavano fin troppo, ma lì si era sbagliato e non se ne dava pace.

Comunque il lavoro di scavo era stato fatto da un muratore  che subito si era detto sicuro che lì di acqua non ne avrebbero trovata e difatti fu così.

Arrivato dunque prima dei dieci metri aveva rinunciato ad andare più a fondo, sicuro di quello che diceva e che la realtà aveva confermato, così si fermò e, da bravo muratore quel era,  cementò tutto quello che aveva scavato, fece le condotte per raccogliere l’acqua piovana e invece del pozzo mio padre dovette accontentarsi della cisterna, sperando che le piogge la riempissero.

E infatti fu così, quella primavera piovve molto e la cisterna si riempì fin quasi all’orlo, e per tutto il tempo che tenne la vigna ebbe l’acqua per il verderame. Fu così che poté smettere di fatica di portare l’acqua da casa, che era una fatica non da poco perché non c’erano ancora le taniche di plastica, leggere e maneggevoli.

Però adesso, essendo cresciuto come la natura aveva stabilito, toccava a me andare il giorno prima di dare il verderame alle viti a mettere a mollo il verderame. Per me era però un vero divertimento, mi avevano comperato una bicicletta da donna di alluminio, che scricchiolava ad ogni pedalata, ma io ero contento di avere un mezzo mio con cui scorazzare a piacimento e il verderame era una scusa per fare dei bei giri attorno al paese.

Quando feci l’esame di maturità mio padre possedeva ancora la vigna, forse era all’ultimo anno, io nei giorni che precedevano gli orali andavo là regolarmente a studiare per non essere disturbato e conservo ancora la memoria di quei giorni, quando per la prima volta mi ero reso conto davvero di ciò che mi aspettava e finalmente mi ero messo a studiare davvero, impegnandomi soprattutto nell’italiano, che avevo trascurato per tutto gli anni del liceo per l’inettitudine dell’insegnante.

Fu allora che scopersi la bellezza straordinaria di un’opera come I malavoglia e che mi appassionai per sempre alla nostra letteratura. In quel verde di fine giugno, quando i primi caldi estivi venivano a porre fine al fresco fuori stagione, scoprivo la grandezza di quel romanzo, rendendomi conto come le grandi opere possono nascere su qualunque terreno, anche quello a me congeniale della campagna più povera.

Poi di Verga non mi sono più occupato fino ad oggi, quando è uscito il mio libro sullo scrittore siciliano nel quale, a dire il vero, solo il romanzo dedicato ai pescatori e ai poveri contadini di quelle terre ho potuto collegare alle mia esperienza diretta di quella vita, in via di sparizione proprio a cominciare dagli anni in cui i vigneti occupavano ancora la maggior parte del territorio coltivo. Così mi fu facile collegare la mia esperienza diretta al grande libro in cui mi ero imbattuto per dovere scolastico. I Malavoglia così mi insegnavano come tra grande letteratura e vita dei campi esistono legami stretti e per me assolutamente vivi.  

ELIO GIOANOLA

PUBBLICATO IN CARTACEO, apertura di cultura