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Archivissima 2024

Roberto Coaloa parlerà sulle passioni della Contessa di Castiglione

A Torino, martedì 21 maggio, è stata presentata alle Gallerie d’Italia di Piazza San Carlo la nuova edizione del Festival Archivissima 2024, la rassegna dedicata alla promozione dei patrimoni archivistici. Il Festival avrà come tema conduttore quello delle “Passioni”, che saranno declinate dagli interventi, tra gli altri di Massimo Recalcati, Boris Belenkin, Luca Scarlini (che parlerà di “Eros sabaudo”) e Roberto Coaloa (sulle passioni della Contessa di Castiglione). Archivissima, dal 2016, ha radunato ben mille istituzioni e archivi italiani. La nuova edizione ha coinvolto quest’anno, dal 6 al 9 giugno 2024, ben 450 archivi e 20 scuole da ogni parte d’Italia e una dall’Argentina. A Torino partecipano il Circolo dei Lettori, la Pinacoteca Agnelli, la Mediateca Rai, il Museo Nazionale del Cinema, il Polo del Novecento e il Museo Nazionale del Risorgimento italiano. La rassegna, venerdì 7 giugno, presenta «La Notte degli Archivi».

Tra i protagonisti lo storico Roberto Coaloa, che venerdì 7 giugno, alle 21, al Museo Nazionale del Risorgimento italiano di Torino, interverrà sul tema «Passioni allo specchio: la Contessa di Castiglione e l’Album Nigra». Nel talk di Archivissima, organizzato insieme al Museo del Risorgimento, la Contessa sarà al centro di una narrazione multiforme e appassionata, affidata a Coaloa. Al centro della serata, due oggetti d’archivio davvero speciali: l’Album Nigra (una selezione di scatti eseguiti fra il 1856-1857 presso l’Atelier Mayer & Pierson di Parigi e donato dalla Contessa al diplomatico piemontese) e un prezioso bracciale a lei appartenuto e appena acquisito dal Museo per generosa donazione.

Ospitiamo dello storico Roberto Coaloa, specialista del Risorgimento, professore di Storia dei Paesi danubiani e dell’Europa orientale, e nostro apprezzato collaboratore, parte del suo intervento.

Info: www.archivissima.it



Re Vittorio Emanuele II, l’Imperatore Napoleone III, Cavour, Nigra e Rattazzi sono alcune delle figure più rilevanti della stagione risorgimentale. Ma nella ridda della storia diplomatica del Risorgimento, una tra tutte rifulge: è Virginia Oldoini, per tutti, la Contessa di Castiglione. Donna bellissima e conturbante, definita di volta in volta come “Nicchia”, “L’amante dell’Imperatore”, “l’Imperatrice senza Impero”, “La più bella donna d’Europa”, “Dea dell’Ottocento”, “Ambasciatrice di Cavour” e anche “Vulva d’oro del Risorgimento” dal cattivissimo Urbano Rattazzi, che non entrò mai nelle sue grazie. La Contessa di Castiglione è un personaggio particolare, tutt’ora da interpretare, partendo dal recente studio di Benedetta Craveri.

Negli anni che precedono il 1859, la Contessa contribuirà con il suo operato al processo che porterà all’Unità d’Italia. Abile diplomatica, pioniera dell’arte fotografica, influencer ante litteram grazie a uno sguardo attento e mai scontato alla posa fotografica, agli abiti, ai monili, agli accessori, porrà le basi per la costruzione di una “messa in scena” a uso e consumo di spettatori e ammiratori.

Virginia Oldoini Virginia Oldoini, poi contessa di Castiglione, nasce a Firenze il 22 marzo 1837 (e muore a Parigi il 29 novembre  1899.)

 A diciassette anni, Virginia sposò Francesco Verasis Asinari, Conte di Castiglione (adottato dopo la morte del padre da Cavour e amico di Massimo d’Azeglio). Il Conte di Castiglione, primo scudiero di Vittorio Emanuele II, fece conoscere Virginia alla Corte sabauda. Non ancora ventenne, la Contessa di Castiglione entrò nello spionaggio del Regno di Sardegna e, come uno 007, fu inviata a Parigi, diventando intima di Napoleone III. La figura della Contessa, ammirata in quegli anni da Massimo d’Azeglio come «la donna più bella d’Europa», diventò leggendaria. Celebri e importanti per la storia della fotografia i suoi ritratti nati dalla collaborazione con il famoso fotografo Pierre-Louis Pierson, dello studio parigino Mayer e Pierson, nei quali la Contessa di Castiglione assume differenti identità, si traveste, mette scena sé stessa e il proprio corpo, in una straordinaria anticipazione di pratiche artistiche e fotografiche che si svilupperanno in parte nell’ambito delle avanguardie storiche del XX secolo e ancor più compiutamente alla fine del Novecento, quando i temi dell’identità e del genere diventeranno centrali non solo per l’arte ma per l’intera società.

Il suo sguardo enigmatico, spesso malinconico, sarà il modello dell’aristocrazia. Imitatrici della Contessa furono Carlotta del Belgio, Imperatrice del Messico, la leggendaria Sissi e la Marchesa Luisa Casati Stampa. Non solo: il burnus nero di Alida Valli nel film Senso è preso a modello da quello di Virginia nel ritratto di Blanche. Il suo narcisismo estremo ha segnato gli artisti contemporanei che hanno fatto della propria immagine l’oggetto della loro poetica, come Gilbert and George e Francesca Woodman.

Questo personaggio, a cui la Marchesa Luisa Casati Stampa deve certamente molto, così come la sua figura di decadente donna fatale diventò icona conturbante per Luchino Visconti, non può infatti racchiudersi unicamente nelle trame della Storia, ma rientra a tutti gli effetti nel gruppo assai eccentrico e poco numeroso degli individui che fecero della stravaganza la loro espressione.

Ma chi era questa signora che, con intuito dada e surrealista ante litteram, si fece ritrarre da Pierre-Louis Pierson mentre guarda da una cornice ovale? Dopo una solitaria e gloriosa morte, le sue eccentricità attirarono immediatamente l’attenzione di un raffinato dandy come Robert de Montesquiou che, all’asta dei suoi beni (molti distrutti da Carlo Sforza, inviato speciale del governo del Regno d’Italia a Parigi), acquistò molti suoi oggetti, diventate sontuose “reliquie”, che poi passeranno alla Marchesa Casati. Fu proprio Montesquiou a interessarsi per primo della Contessa di Castiglione, a cui dedicò un volume, diventato ricercatissimo e costosissimo per i bibliofili, La Divine Comtesse, pubblicato dal grande amico di Marcel Proust dopo tredici anni di studi e ricerche nel 1913 (da Goupil & Cie a Parigi). Il prezioso libro fu stampato in duecento esemplari di cui venticinque su carta imperiale del Giappone. La prefazione era firmata da Gabriele d’Annunzio. Il Vate preferì trincerarsi prudentemente dietro l’affermazione generica che «a ogni passo, a ogni gesto, a ogni sguardo» la Contessa «sembra imprimere la propria figura nella sostanza stessa della poesia». Ma, dopo avere a sua volta pervaso l’eroina di Montesquiou dell’aura solenne dell’umanesimo toscano, si interrogava: «Quest’uomo che l’ama e la celebra nella perfezione della morte non sembra forse dimenticare ch’ella ebbe anche un’Aurora?», ricordando l’epoca in cui «portava la sua giovinezza come un’immortalità». Per la prima volta la seduttrice Virginia, la bellissima abituata a incatenare gli uomini al suo carro (simile alla bella Lou von Salomé che, nel 1882, nello studio di Jules Bonnet a Lucerna, si diverte non metaforicamente, ma con il frustino, su un carretto trainato dai filosofi Friedrich Nietzsche e Paul Rée), si ritrovava prigioniera, posseduta da un innamorato (che la vide sul letto di morte, avvenuta appunto il 29 novembre 1899, a Parigi, in una solitaria stanza delle memorie muliebri) e alla totale mercé delle sue macabre fantasie.

Eppure, appropriandosi di lei, Montesquiou consacrava la leggenda di cui la Contessa di Castiglione aveva posto le premesse, e trasformava la sua sconfitta in un trionfo senza fine.

Roberto Coaloa