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E’ da lì che viene la luce

A Trino il romanzo di Emanuela Ersilia Abbadessa edito da Piemme

Un giorno qualcuno avrebbe favoleggiato di pianeti sconosciuti in cui società militari avrebbero eliminato gli imperfetti per creare generazioni invincibili. Ma quella sarebbe stata soltanto finzione letteraria, perché nella realtà era proprio il difetto a creare la bellezza”. Divenne realtà e non semplice finzione letteraria, per poi essere superata, non completamente, tra ombre e luci, violenze e discriminazioni, ma anche l’intensità di sentimenti profondi e autentici.

Parla di omosessualità il nuovo romanzo storico “E’ da lì che viene la luce” di Emanuela Ersilia Abbadessa edito da Piemme (febbraio 2019) e candidato per il Premio Strega 2019, presentato venerdì scorso nella Biblioteca Comunale di Trino, per iniziativa del Gruppo Consigliare Futura e della sezione del Pd locale, in collaborazione con la cartolibreria Italia. Un romanzo liberamente ispirato alla storia del fotografo tedesco Wihelm von Glöden, sulla libertà di pensiero e di costume che, solo nell’arte, non conosce odio per il diverso e la paura di svelare la violenta ignoranza che si annida nei meandri più bui dell’animo; un romanzo scritto per suscitare riflessioni e provocare domande, non per dare risposte. Trecentotredici pagine in cui la Abbadessa, affronta, in forma romanzata, un tema molto sentito e, rispetto al quale, condanna persecuzioni e discriminazioni. Attraverso il suo personaggio, il barone Ludwig von Trier, l’autrice racconta, decenni dopo l’esperienza di Glöden, le difficoltà nella definizione dell'identità sessuale e, per farlo, si fa trasportare in un dialogando quotidiano con gli stessi personaggi che descrive. “I miei personaggi diventano quasi reali, entrano nella mia casa, fanno parte del mio quotidiano. Diventano una vera e propria compagnia”. Il romanzo è ambientato a Taormina, ai tempi porto franco per gli omosessuali, e luogo dove si creavano cenacoli letterari per i giovinetti, in una terra, che l’autrice, conosce molto bene, grazie alle sue origini. Nel romanzo, l’Abbadessa affronta la condizione psicologica di chi, nell’incertezza e alla ricerca della propria identità, si trovò a vivere gli anni muscolari del fascismo (1932). I due personaggi principali, attraverso i quali si snoda l’intera storia, sono Ludwig che, a Taormina vive la propria Epifania, e Agata, la governante molto colta e diversa dal modello di donna “fattrice” del tempo. Entrambi rappresentano le condizioni di diversità, rispetto ai modelli che imperano nella società di quegli anni e, per questo, tra di loro matura un legame molto forte, un amore inespresso, mentre Ludwig, scoprirà un nuovo sentimento, quello verso il giovinetto Sebastiano Caruso. Tra i personaggi poi, vi è il Gerarca Alfio, la figura del dubbio, attraverso la quale, l’autrice, muove riflessioni, considerazioni e interpretazioni. “Ho costruito questo romanzo, come una tragedia greca” ha detto l’Abbadessa, “in cui ogni personaggio è legato al proprio destino. Quando scrivo fanno da scenario le opere letterarie classiche che ho letto e studiato, ma anche le opere d’arte. Scrivendo di Ludwig,  l’agnello sacrificale del romanzo,  ho pensato al Cristo Morto di Mantegna”. Sarà la cifra stilistica ma, anche in quest’opera letteraria, il lieto fine è lontano dal punto impresso a pagina 313. Altra cifra stilistica, è la scelta di recuperare le parole desuete, per un amore grande che la Abbaddessa nutre per la lingua italiana. Numerose sono le parole desuete, rinfrescate nel romanzo, apprezzate tra gli altri, dall’ex sindaco Alessandro Portinaro per “la ricerca della scrittura, la profondità di lessico e della costruzione”. L’immagine di copertina è Caino, fotografia del 1911 del barone Wilhelm Von Gloeden. La scelta del titolo invece, trova riscontro in un interscambio di riflessioni con il Vescovo di Savona, ovvero dalla considerazione che, “è dall’umanità che vien la luce”. La serata, moderata da Lele Borghesio, ha incontrato l’apprezzamento e il consenso dei numerosi partecipanti.

 Chiara Cane