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Casale: la storia dell'ospedale

Ricerca di Aldo Timossi- La Lamina plumbea e la bolla di papa Innocenzo II

A Casale “l’ospedale deriva da un ospizio per pellegrini fondato sin dal 715 da Flavio Liutprando”. Così scrive un sito web dedicato agli ospedali d’Italia. Vero? Falso? Tutto da verificare! E’ comunque occasione per riassumere la cospicua storia dell’assistenza ospedaliera nel Casalese. Una vicenda - anticipiamo il finale - che dopo tante glorie vede oggi in città un “Santo Spirito” in serio affanno, impegnato a coprire vuoti, sempre più ridotto, con la sensazione di una lenta agonia, al pari peraltro di tanti nosocomi italiani di periferia, impallinati dalla spending review, alias politica di sforbicio governativa del 2012.

Partiamo da quell’anno 715 e da un originale, notissimo documento conservato nell’Archivio diocesano di Casale, la “lamina plumbea”, una tavola di piombo nella quale si legge, in un latino abbreviato e incerto di una pretesa donazione del re longobardo Liprandus – si, proprio lui, il fondatore di una chiesa dedicata a san Lorenzo, sulle cui rovine sorgerà l’attuale Duomo - alla canonica di sant’Evasio. Decenni di esami, dissertazioni, ipotesi, hanno ormai accertato che quel documento rettangolare dai bordi arrotondati - datato dal Catalogo dei Beni culturali negli anni 1290/99 e opera di mano tedesca, pur se qualche fonte precisa la data nel 1220 - si basa su di un documento buono, una sorta di ex voto, citato in un diploma di Federico I del 1159, con il quale la comunità canonicale di sant’Evasio ebbe in dono dal cattolico Liutprando alcune sue proprietà nell’allora abitato di Sedula. Tra queste, ci sarebbe stato proprio un immobile destinato ad ospizio per i pellegrini, .

In quei tempi, la protezione dei santi va ottenuta visitandone la sepoltura, non basta l’invocazione ovunque ci si trovi, quindi per l’aiuto di san Pietro è necessario omaggiarne la tomba a Roma, e per indulgenze più robuste bisogna addirittura arrivare in Terrasanta. Ecco dunque, il via vai di pellegrini lungo la via Romea Francigena, che dall’Europa, attraverso la Valle d'Aosta, raggiunge Ivrea, Vercelli e Pavia; probabile interessi anche Casale, proseguendo verso Pomaro, Valenza e Alessandria, quindi Genova, punto di partenza per l’Oltremare.

La stessa via percorsa nel 990 da Sigerico, arcivescovo di Canterbury, che la leggenda vuole essere transitato da Trino e Pontestura. A Casale c’è un ponte per attraversare il Po, e secondo l’uso - ben descritto dallo storico Francesco Cognasso – di costruire ospedali attigui ai ponti, è ipotizzabile che quella zona, poi individuata come cantone Vaccaro, sull’asse dell’antico tracciato rettilineo che oggi segue le vie Lanza e Roma, ospiti un ricovero, uno “xenodochio”, dove i pellegrini sostano, trovando in modo gratuito un semplice giaciglio e magari una ciotola di zuppa. Ospedale, certo, ma nel semplice significato latino di “hospitalis”, luogo ove sistemarsi.

Per le prime notizie sicure è necessario arrivare al secolo XII. Analizzando a inizio ‘900 le carte dell’archivio capitolare di Casale, lo storico Ferdinando Gabotto trova una bolla con la quale, nel 1143 papa Innocenzo II conferma alla canonica di S. Evasio “in eodem loco Casalis ecclesiam S. Marie et ecclesia S. Stephani cum hospitali ibidem hedificato”. Ecco il primo, vero ospedale, definibile come “cantonale” perché al servizio del cantone Lago, semplice quanto può essere all’epoca, ma destinato ad accogliere persone con qualche patologia. Il sito - ce lo confermano studiosi come Vincenzo De Conti e Gioseffantonio Morano - è quello dell’attuale chiesa di Santo Stefano, accanto alla torre civica, l’intitolazione dovrebbe essere a san Giovanni. Analizzando documenti successivi, Gabotto ci da notizia che a metà del ‘300 l’attività ospedaliera è gestita da cinque “fratres” giovanniti, quindi ha una certa robustezza. Forse il posto non è dei più salubri, considerato che sulla piazza ci sono le beccherie vecchie, dove i macellai piazzano i loro banchi, con quel che comportano di odori, scarti in degrado, scarichi liquidi!

Notizie di altri ospedali sono fornite dallo storico Aldo Settia nello studio del 1978 su “Sviluppo e struttura di un borgo medievale: Casale Monferrato”. In quelle pagine, che si basano sugli Acta Reginae Montis Oropae editi nel 1945, troviamo un “hospitale Calicatorum”, dei Callegari, come al tempo si definivano i calzolai, prossimo alla “porta Nova” (ora Porta Milano); uno spedale della Santa Trinità, nella stessa contrada “porta Nova”; un “hospitale” a Paciliano, l’odierna San Germano; il lebbrosario, che dovrebbe essere sulle rive del Po, su terreno ghiaioso, fatto di semplici capanne dove isolare i malati, e che in tempi successivi troverà sede in sito meno periferico, nell’odierna zona tra le vie Bagna-Bertana-Gonzaga . Si legge anche di una struttura dell’Ordine Ospitaliero di san Martino, della quale non si specifica l’ubicazione, e in proposito è possibile che altri ospizi siano gestiti laddove gli Ordini cavallereschi (i Giovanniti o Gerosolimitani, e fino ad inizio ‘300 i Templari) hanno loro presenze: Santa Maria del Tempio, Camagna, Altavilla, Moncalvo, Penango, Castell’Alfero, Ticineto, Occimiano, Bozzole, Fubine. Di certo storicamente, si fa ospedale in quel di Morano Po.

aldo timossi (1 – continua)

 

Foto: Lamina Plumbea (archivio diocesano)