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Vidua a Conzano

Domenica 19 alle 16 incontro su Belzoni e Champollion

Domenica scorsa a Villa Vidua di Conzano si è discusso del viaggio americano di Carlo Vidua, in un pomeriggio contraddistinto da un grande passaggio di pubblico. Dall’ottobre scorso, Villa Vidua ospita in maniera permanente un nuovo allestimento multimediale e inclusivo sulla vita e i viaggi del conte di Conzano. Proponiamo del nostro collaboratore Roberto Coaloa, curatore scientifico della mostra su Vidua, un passaggio del suo intervento.



Il conte di Conzano era partito per gli States dal porto francese di Le Havre, il 25 febbraio 1825, sul «pachebotto» americano Stephania del Capitano Macy. Scrive: «La stagione fu cattiva, d’altro canto l’equinozio di marzo è decisamente il momento in cui la navigazione risulta più difficile».

Dopo quarantatré giorni di navigazione sull’Atlantico, il viaggio negli Stati Uniti di Vidua iniziò il 9 aprile 1825, con l’arrivo a New York. Il lungo viaggio negli Stati Uniti terminò il 6 febbraio 1826 a New Orleans.

La durata e la qualità del viaggio di Vidua sono importanti. Superiore, ad esempio, è la durata del viaggio del conte piemontese a quello successivo di Tocqueville. Vidua trascorre 303 giorni in Nord America, Tocqueville 286 giorni. La qualità del viaggio del conte di Conzano è assai superiore a quella del francese, considerando, ad esempio, l’incontro con cinque presidenti e i ventisette giorni trascorsi negli Stati di frontiera. Tocqueville non scoprì la Western Country. La sua profezia secondo la quale con il passare del tempo gli Stati dell’Ovest avrebbero indebolito il potere federale si è rivelata sbagliata.

Sebbene Vidua non riuscì a riordinare il materiale raccolto e a scrivere un libro celebre come la Democrazia in America, le lettere e gli appunti inediti mostrano il suo intuito geniale e le sue grandi qualità di storico. Cosa sarebbe stato il lavoro di Vidua sugli States? Vidua ci ha lasciato una informazione sui suoi taccuini. Da Ternate, 13 settembre 1830, tre mesi prima di morire all’età di quarantacinque anni, ci informa che avrebbe voluto scrivere il libro in francese. Titolo: Souvenirs d’un voyage aux Etats Unis.

Alcune considerazioni di Vidua sui padri fondatori e sul futuro dell’Unione sono sorprendentemente moderne. Anticipano quelle di autori e di pensatori politici del nostro tempo, come Gore Vidal, uno dei maggiori scrittori degli Stati Uniti d’America

Cinquant’anni fa uscì Burr di Vidal. Oggi, il romanzo storico è riproposto in Italia nell’elegante edizione di Fazi Editore (traduzione di Pier Francesco Paolini). Con Burr, Vidal voleva raccontare la vera storia della Rivoluzione americana, fuori dalla leggenda, ormai incisa nel bronzo, a giudicare dai libri di testo delle scuole e della fama che godono alcuni protagonisti, come George Washington e Thomas Jefferson, scolpiti sul Monte Rushmore.

Controcorrente, Vidal cercò di mettere sotto una luce positiva il comportamento del più discusso personaggio americano, Aaron Burr (1756-1836), considerato dai più una sorte di Mefistofele della politica. Vidal, infatti, raccontando gli anni 1775-1808 della giovane democrazia americana dal punto di vista di Burr, restituisce parte della dignità alla sua persona.

Gli allori della Rivoluzione americana, per Vidal-Burr, andarono ingiustamente a Washington: «un agrimensore della Virginia che divenne “il padre” della patria». Come militare, Washington perse la maggior parte delle sue battaglie. L’acuminata penna di Vidal non risparmia Thomas Jefferson, considerato un ipocrita che ha ordito un complotto contro il suo alleato Burr, e Alexander Hamilton, visto come uno spregevole opportunista, troppo ambizioso.

Nella finzione narrativa, Vidal immagina il colonnello Burr, ormai un anziano politico, determinato a raccontare la sua storia a un giovane giornalista, Charles Schermerhorn Schuyler.

Chi scrive considera Burr il capolavoro di Vidal; la testimonianza autorevole, da guardare con ammirazione, di uno scrittore che, non solo nella finzione narrativa, è stato la coscienza critica della politica americana, passata e presente. Vidal, ad esempio, è stato membro della direzione di World Can't Wait, un’organizzazione per l’incriminazione di George W. Bush per alto tradimento. Più in generale è stato critico di quasi tutte le ultime presidenze americane, capitanate da un gruppo di petrolieri guerrafondai (oil-Pentagon men).

Nato a West Point il 3 ottobre 1925, Vidal morì nella sua casa di Hollywood Hills il 31 luglio 2012, all’età di ottantasei anni. La sua salma è inumata nel cimitero di Rock Creek a Washington.

Per circa trent’anni, Vidal ha vissuto in Italia, prima a Roma, in Largo di Torre Argentina, e poi a Ravello sulla costiera amalfitana. Nel 2005, dopo la morte del compagno di una vita, Howard Austen, ha venduto la famosa villa «La Rondinaia» di Ravello, meta di molti americani, come i Clinton, e di molti ammiratori italiani, ed è rincasato nell’amata Los Angeles.

Proprio in Italia, Vidal lavorò al romanzo 'Burr'. Nel 2000, chi scrive, andò a trovarlo a Ravello, per parlare di quel suo lavoro e discutere con lui dell’America osservata da Vidua e Tocqueville. Allora, come oggi, ancora sogno un viaggio d’istruzione e d’indagine storica nella democrazia americana. Nel 2000, fui fortunato! Non solo Vidal mi dedicò una prima edizione dell’opera. Con Alfonso, l’uomo della costiera amalfitana suo “segretario”, mi portò a conoscere altri luoghi, come Villa Cimbrone. Mi fece una grande impressione la sua visione del passato degli Stati Uniti d’America. Così, forse per rendersi più amabile agli occhi di un giovane italiano, finì per raccontarmi la sua passione per il cinema, che lo vide sceneggiatore di famosi film. Fu anche attore, ma come cinefilo non poteva che essere legato a Ravello. Qui, una delle stelle più celebri del cinema, nel 1938, decise di scappare da Hollywood e scelse Ravello. A Villa Cimbrone, La Divina consumò una vera e propria fuga d’amore con il direttore d’orchestra Leopold Stokowsky.

A Ravello, nel parco di Villa Cimbrone dove Greta Garbo e Stokowsky vissero la loro mitica storia d’amore, l’episodio è ben ricordato, come testimonia una delle tantissime targhe che scandiscono, tra Byron e Wagner, il dedalo di viuzze del centro amalfitano.

«Qui, nella primavera del 1938, la divina Greta Garbo, sottraendosi al clamore di Hollywood, conobbe con Leopold Stokowsky ore di segreta felicità». Da ricordare: dopo l’avventura di Ravello, l’attrice lavorò nell'estate 1939 al film Ninotchka, diretto da Ernst Lubitsch. Per me il film più bello del mondo...

Lo so, sto divagando. Ma il ricordo vale questa parentesi.

Nel romanzo storico dedicato a Burr, Vidal ricostruisce la verità del passato americano, mettendo in discussione l’immagine tradizionale dei padri fondatori, che per lo scrittore sono, invece, una nuova élite, sorta dalla Rivoluzione americana.

La potente classe politica, infatti, compiendo la rivolta, sostituì in realtà l’egemonia inglese con quella di una minoranza decisa a instaurare il proprio potere con la forza, non solo contro la Gran Bretagna di re Giorgio, ma soprattutto contro gli oppositori interni.

Questi uomini della democrazia americana, occorre ricordarlo, piacquero poco ai primi studiosi europei, come Carlo Vidua e Alexis de Tocqueville. Essi notarono, ad esempio, che la tanto sbandierata libertà era in realtà un privilegio di pochi: gli indiani erano considerati selvaggi da allontanare dal loro territorio d’origine e le popolazioni di colore provenienti dall’Africa erano rese schiave. Nel 1776, a insorgere contro gli inglesi non fu tutto il popolo. John Adams, ad esempio, secondo presidente americano dopo Washington, sostenne che un terzo di «popolo» volle l’indipendenza, un terzo la rifiutò e un altro terzo non si schierò, ma quando Adams parlava di «popolo» non si riferiva a tutti gli uomini americani, ma solo alle persone riconosciute tali dal punto di vista giuridico. Gli indiani e gli schiavi non erano annoverati tra le persone. Ragion per cui non figuravano nemmeno tra coloro che volevano l’indipendenza.

Vidal ci offre un’immagine di Burr diversa dagli altri padri fondatori. Ricorda la sua avversione alla schiavitù, ad esempio.

Burr, nel corso della sua carriera politica, ricoprì sia la carica di deputato dello stato di New York sia di senatore, prima di essere eletto vicepresidente sotto la presidenza di Thomas Jefferson dal 1801 al 1805. Durante il suo mandato di vicepresidente divenne famoso per avere ucciso in un duello, con un preciso colpo di pistola, il suo rivale politico Alexander Hamilton e per essere stato in seguito accusato di alto tradimento, a causa di un presunto piano di secessione di alcuni dei territori dell'ovest dalla Maggior Virginia, come talvolta veniva chiamata l’Unione, da chi non aveva in simpatia Jefferson e la sua corrente.

Carlo Vidua, nel suo anno vissuto nell’Unione, dopo aver conosciuto ben cinque presidenti americani trascorse due settimane a New York nell’ottobre 1825. Rivide il presidente in carica John Quincy Adams, figlio del secondo presidente dell’Unione, e conobbe alcune celebrità di allora. Cita James Fenimore Cooper, «autore di romanzi che non piacciono a me, ma che piacquero molto in America, Inghilterra, Francia» e, ovviamente, Aaron Burr. La descrizione che ne fa Vidua è controcorrente come quella di Vidal. Scrive: «il colonnello Burr ex vicepresidente degli Stati Uniti, che rischiò di lasciar la testa sul palco per aver voluto separare in due la repubblica, e far un’invasione nel Messico. Egli è pieno di spirito e d’amenità, qualità sì rara fra gli Americani; è anche famoso per aver ammazzato in duello Alessandro Hamilton ministro delle finanze sotto Washington, e capo del partito federalista».

Sulla stessa linea Vidal, che paragona Burr a un cavaliere settecentesco, seduttore di belle ragazze e di ereditiere, come la cinquantottenne Eliza Bowen Jumel (per i detrattori non fu altro che «una bagascia in disarmo»), che il colonnello sposò il 1º luglio 1833, alla veneranda età di settantasette anni. Vidal ci racconta anche del giovane Burr, un tempo arbiter elegantiarum di New York, l’uomo che Jeremy Bentham considerava squisitamente civile. Davvero un buon diavolo «pieno di spirito» per dirla con Vidua!

Roberto Coaloa



A Villa Vidua, oltre alla mostra sul conte viaggiatore, si può ammirare, al piano superiore della casa patrizia, la mostra “L’Egitto di Ezio Gribaudo” (fino al 10 aprile).

Da domenica 19 marzo (alle ore 16.00) con Marco Zatterin e l’egittologa Silvia Einaudi prenderanno il via una serie d’incontri sul tema dei viaggiatori nella Terra dei Faraoni. Il titolo: 'Belzoni e Champollion a Casa Vidua'.

FOTO. Aaron Burr