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Quartetto Henao a Lucedio
Domenica al Principato
L'ultimo appuntamento della stagione concertistica dei Quartetti dell'Accademia Filarmonicasi (in sinergia con Idea Valcerrina) si è consumato niente meno che in un Principato, quello di Lucedio.
Non che le altre location siano state meno blasonate di questa sala capitolare costruita dai monaci cistercensi 600 anni fa o più (e la fondazione dell'abbazia data 1123, ndr), ma non tutti possono vantare sepolture di Marchesi del Monferrato e leggende più o meno diaboliche.
Cornice perfetta per l'ultimo atto di questa sfida di quattro quartetti che la Filarmonica di Casale ha realizzato quest'anno bissando il successo del 2018. In realtà che sia una sfida lo abbiamo aggiunto noi, si è trattato invero di quattro concerti di artisti giovani, ma già di altissimo livello internazionale, portati nella stagione della Filarmonica grazie alla collaborazione con l'associazione le Dimore del Quartetto.
Siamo noi che abbiamo voluto stabilire chi fosse il migliore dei quattro per aggiungere un po' di pepe alle recensioni. Un gioco che però a questo punto portiamo fino alla fine, anche perché sarete curiosi di sapere chi si è aggiudicato il titolo, no?
Prima però un piccolo riassunto e poi naturalmente la recensione che può “confermare o ribaltare” le posizioni del podio. La sfida è iniziata più di un mese fa al Castello di Uviglie con il quartetto Selini, tutto femminile, gentile e impeccabile, con un suono perfetto che gli ha fruttato un punteggio di 8,50, le ragazze sono state superate dai Berlin-Tokyo esibitosi al Castello di Giarole, ensemble dai colori curatissimi e soprattutto un primo violino capace davvero di fare la differenza. Per loro un 9. Solo 8 e quindi terza piazza, per Quatuor Agate a Palazzo Treville: sincronismo perfetto, originalità, ma un po' troppa irruenza.
Ora a Lucedio è il turno del quartetto Henao, un mix davvero internazionale, con un primo violino colombiano, un secondo violino coreano, viola e violoncello dall'Italia che si sono trovati insieme all'orchestra di Santa Cecilia in Roma. Serena Monina, presidente della Filarmonica, li annuncia, ringrazia la famiglia Salvadori - Wiesenhof per questa sede prestigiosa e loro attaccano.
Quando, dopo un'ora circa, si spengono i tanti applausi nella sala gremita la prima parola che viene in mente è leggerezza. Non è per nulla una cosa negativa se la si considerata come una cifra stilistica. Leggerezza è questo primo violino che si chiama : William Esteban Chiquito Henao che sarebbe capace persino di far pronunciare il suo nome al suo strumento semplicemente appoggiandoci sopra un crine dell'archetto. Leggerezza vuol dire avere un suono cristallino, fare attenzione agli accenti, magari evitando di caricarli quelli sui tempi forti e concentrandosi su quegli intermedi. Ma nessuno di loro rinuncia a una solida tecnica e a un timbro chiaro (anzi molto chiaro, tutto è perfettamente distinguibile).
Per un gruppo così esordire con i tre pezzi di Stravinskij non è il massimo. Composti nel 1914 si collocano tra la barbarie della Sagra della Primavera e lo stile cameristico dell'Histoire du Soldat “il ritmo in questi brani è tutto”, spiega Stefano Trevisan alla viola. Sì, ma deve essere un ritmo percussivo, da strappare le corde. Un fortissimo sarebbe gradito. Non ci siamo, se continuano così finiscono ultimi.
Liquidata la pratica, poi però attaccano la sonata opera 132 di Beethoven e si apre un mondo. Qualcuno ricorderà che tutti gli ensemble della rassegna hanno portato un quartetto di Beethoven. Qualcuno a pescato tra i numeri d'opera bassi, qualcuno tra quelli della maturità, l'op 132 è il “quartetto definitivo” (dopo ci sarà l'op 133 “la grande fuga”). Una partitura che lascia i critici divisi: ci sono quelli che credono che sia la definitiva rampa di lancio verso la dissoluzione delle forme classiche, compiuta negli ultimi quartetti del genio e che ci porta verso il romanticismo di metà ottocento, ci sono altri (il primo è il germanissimo Carl Dahlhaus) che invece sfatano questo luogo comune e affermano che Beethoven nella maturità guarda piuttosto alle forme del passato con una certa nostalgia. Ecco gli Henao danno ragione a quel saccente di Carl Dahlhaus.
Forse ci voleva la leggerezza per scoprirlo, anzi, la delicatezza di prendere l'allegro del secondo tempo e trasformarlo in una canzonetta orecchiabile, oppure tempo cullare l'ambiguità tonale del terzo tempo fino farla sconfinare nella musica barocca, così che sembra sentire Pachebel o Albinoni. Notevole il modo in cui raccordano la marcia all'allegro appassionato finale, una galante meringa musicale che in attimo si scioglie in bocca... E pensare che quest'opera l'abbiamo sempre trovata lunga, complessa, invece con loro il tempo è volato, persino il pubblico sembra sorpreso. Ma appena loro quattro si alzano, scatta un applauso lunghissimo e richieste insistenti di bis...
Alberto Angelino
ARTICOLO COMPLETO NEL NUMERO IN EDICOLA MARTEDI'
FOTO: Pubblico domenica a Lucedio (f. ellea)