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Prelati monferrini di Aldo Timossi -74-
Domenico Schelino conquista la fiducia del marchese Guglielmo IX Paleologo - Consacra San Domenico
Per produrre il miele, l’apina laboriosa deve volare ore e ore di fiore in fiore. Così, per costruire la vita di un personaggio di secoli passati, senza essere api occorre trovare frammenti navigando di sito in sito, centinaia. Se poi quella persona è descritta nelle varie fonti con tanti cognomi diversi - come per il Tavano di Trino - la fatica si moltiplica.
E’ il caso di un vescovo d’inizio ‘500, nativo di Felizzano, pastore di anime ad Acqui, spesso e volentieri in trasferta nel Casalese.
Nel ritratto in vescovado è scritto Sclinus, probabile svarione di chi ridipinse l’effige. Nelle sue “Notizie”, il De Conti chiama quel prelato come Solino ma non disdegna Schellini e nemmeno Solero! Solino anche per l’enciclopedica “Catholic hierarchy”, le “Series episcoporum” del Gams, l’Ughelli di “Italia sacra”, un monumentale “Grosses vollständiges Universal Lexicon….” del 1732, il “Dictionnaire universel, dogmatique, canonique, historique” del 1760. Poi ci sono altre varianti: Selino, Schelini, Schellino, Aschelino. Nel testamento del 7 giugno 1532, riportato dai “Monumenta Acquensia”, è definito “dominus Dominicus Schelinus”, Domenico Schelino, e questo useremo.
Poche, frammentarie le notizie sulla sua vita. Iniziano quando è canonico cantore nella cattedrale di Mondovì. Partendo dalla data della morte (1534) e valutando l’età media di prelati dell’epoca, Domenico potrebbe essere nato intorno al 1470/75. Nel 1500 o appena dopo è presbitero e ciò gli consente di essere chiamato al canonicato monregalese, nella pieve di San Donato (la nuova cattedrale in costruzione sarà consacrata nel 1514). Trascorrono anni durante i quali riesce conquistare la fiducia del marchese Guglielmo IX Paleologo. Già in questo tempo è possibile sia anche fisicamente vicino alle residenze marchionali: in atto notarile del 1530 si legge che monsignor “de Aschelinis” mantiene abitazione a Casale, in cantone Vaccaro, e possiede nelle campagne alcuni campi e un vigneto, dati in affitto a due fratelli di Morano. Di altri beni risulterà proprietario, a Ottiglio e Casorzo.
La dignità episcopale e l’assegnazione ad Acqui arrivano il 28 luglio 1508. Probabile che come sponsor presso la Santa Sede ci sia il Paleologo, anche in virtù di quanto la casata ha posto in essere, specie con il cardinale Teodoro, per l’erezione della diocesi di Casale nel 1474.
Che tale appoggio sia credibile risulta dal primo impegno del neovescovo a Roma: nel 1509 ottiene dal Pontefice sia la conferma della propria competenza sulla ricca abbazia di Lucedio, della quale ha fatto commendatore Giangiorgio Paleologo, fratello di Guglielmo, sia l’assegnazione allo stesso del titolo di protonotario apostolico. Qualche mese più tardi, Papa Giulio II nomina Giangiorgio coadiutore del vescovo di Casale, Bernardino Tibaldeschi, al quale succederà nel 1517 nella sola veste di amministratore, non avendo mai ricevuto gli ordini religiosi.
Nel 1512 monsignor Schelino è presente al Concilio Lateranense V, convocato per sostenere l’autorità pontificia contro un “conciliabolo” di pochi prelati e nobili, congregati a Pisa nel 1511, per iniziativa dell'Imperatore e del Re di Francia, contro il Papa. In particolare, interpretando le mezze parole in latino sotto il ritratto del prelato, nel Vescovado acquese, par di capire che la tesi assegnata dal Concilio al suddetto vescovo, sia di confutare il conciliabolo di Pisa, che negava a Roma il diritto di porsi sotto il dominio e la protezione del Sommo Pontefice.
Costretto a vita ritirata per l’età e i malanni il vescovo Tibaldeschi, è Schelino a presiedere il 23 ottobre 1513 la solenne consacrazione della nuova chiesa casalese dedicata a san Domenico, la cui costruzione è iniziata nel 1472 per un voto fatto al santo dal marchese Guglielmo. Non manca ovviamente di occuparsi della sua diocesi, e tra l’altro è fondatore della Confraternita dei Dottori - costituita da laureati e uomini di cultura - con sede nella chiesa di Santa Maria della Rotonda e destinata in futuro ad assumere la nuova etichetta di Confraternita della Concezione. Il primo amore è comunque sempre quello per i Paleologi, e in virtù di tale rapporto, nel periodo 1518-19 è spesso a Casale. Intanto - racconta il cronista Marino Sanuto nei suoi “Diarii” del tempo - il 6 ottobre 1518, per celebrare i funerali del marchese Guglielmo, morto due giorni prima nel castello di Trino, c’è chi dice per avvelenamento, chi per l’aggravarsi dell’infezione ad una gamba. La mattina successiva, insieme al vescovo di Alba, il trinese Andrea Novelli (del quale nella biografia pubblicata il 15.10.2024, per mero errore risulta posticipata di un secolo esatto la nascita; N.d.A.), celebra una messa in suffragio alla presenza della vedova, la marchesa Anne d’Alençon.
E’ nel Casalese l’anno successivo, per seguire le vicende relative alla successione del defunto marchese, che nello spirito della legge salica spetta al maschio di famiglia, il piccolo Bonifacio di appena 6 anni, e per esso alla mamma Anne come tutrice. Discussioni e contrasti per alcuni mesi. Finalmente nell’ottobre 1519, nel castello di Casale, presente anche monsignor Schelino quale membro del Consiglio marchionale, viene redatto il documento con il quale i deputati della città riconoscono la reggenza d’Alençon, giurando fedeltà a lei ed al figlio. Negli stessi giorni, risponde all’appello giunto “dal religioso fervore” dei Fubinesi per la consacrazione della loro nuova chiesa, dedicata all’Assunzione di Maria, eretta in parrocchiale in sostituzione della più antica dedicata a San Pietro extra muros, in attesa di demolizione
Assai scarne le notizie sugli anni successivi. Da una sua drammatica lettera inviata nell’aprile 1527 ad un amico casalese, il canonico Bernardino Strocio (Strozzi?) - forse l’unico al quale può rivolgersi, avendo rapporto conflittuale con il Capitolo evasiano - sappiamo di una grave infermità che lo ha costretto a letto per quattro lunghi mesi, nonché di una critica situazione economica: da tempo i fittavoli di alcuni benefici vescovili non pagano il dovuto, e Schelino manca di tutto, usando una metafora non ha “né grano, né paglia, né fieno, né biada”! Le fonti ci danno qualche nota più diffusa sul contenuto del testamento, redatto il 7 giugno 1532. Ne sono in primis beneficiari “Stefano, Antonio, Domenico, Giovanni Battista, Maria e Rufino, tutti figli legittimi e naturali del rev.mo Cristoforo Schelino, fratello del rev.mo Vescovo, che hanno in passato prestato e speso molti e diversi servizi, oblazioni e grati benefici”. Volendo farli vivere in modo onorevole, dona alcune suppellettili e altri oggetti d’argento, e anelli con pietre preziose.
Prima che Domineddio lo chiami a sé, l’11 giugno 1534, deve impegnarsi per rivendicare i diritti del Vescovado, messi in discussione dopo l’estinzione (1533) della famiglia dei Paleologi; tali diritti saranno riconosciuti dall’imperatore Carlo V d’Asburgo, nell’ambito dell’attribuzione (1536) del Monferrato ai Gonzaga di Mantova. Negli ultimi mesi di vita, è ricordato per aver ottenuto da Papa Clemente VII il placet per l’avvio a Nizza di un nuovo monastero di suore di sant’Agostino, finanziato dalla contessa Caterina Valterio di Pollenzo e destinato ad ospitare anche alcune monache allontanate dal convento di Garlasco.
aldo timossi -74






