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Prelati monferrini di Aldo Timossi -61-

Monsignor Uberto da Sala a Como
Per trovare la biografia di un vescovo nativo di Sala Monferrato, occorre fare un lungo passo indietro di molti secoli, rispetto alle ultime figure di prelati del Casalese, che questo giornale ospita dall’aprile 2024. Perché solamente oggi appare monsignor Uberto, vescovo di Como dal 1228 al 1259? Galeotte sono state alcune fonti storiche, che occorre citare (a rischio di dar noia) anche per capire quanto non sia semplice indagare la di storia!
Scrivendo a metà Ottocento la storia del comune di Vercelli, Vittorio Mandelli cita un “Uberto, arciprete di Vercelli, eletto vescovo di Como”, assegnandogli il “cognome de Mortaria”! Aggiunge che il trinese Andrea Irico, autore del corposo “Rerum patriae” a metà Settecento, “fa l’elogio di questo vescovo come oriondo di Trino sotto nome di Ubertus de Sala, accennando alla borgata di Sala suo feudo”.
La notizia è mutuata paro-paro dal canonico Romualdo Pastè nella sua storia (1907) dell’abbazia di Sant’Andrea di Vercelli, quando scrive che “Uberto era della nobile e antica famiglia vercellese de Mortaria”.
In realtà, scorrendo per scrupolo le pagine (in latino) dell’Irico, si deve correggere il tiro. Uberto è indicato quale figlio di un Bandino, già cancelliere del marchese Corrado di Monferrato, che ha seguito nel viaggio in Siria al tempo dello terza crociata; in cambio di tanta fedeltà ha ottenuto in feudo il “vicus non ignobilis Montisferrati, cui nomen Sala”, la località poco conosciuta del Monferrato, chiamata Sala. In quel “vicus” - aggiunge Irico - è nato Uberto, pur se i suoi avi “tempo addietro avevano stabilito i lari”, cioè fissato la dimora, a Trino.
A conferma dell’origine monferrina, il “De corona ferrea” (1719) di Ludovico Muratori, padre della storiografia medievale italiana, dove si cita un “Ubertus e Salla Montisferrati, episcopum comensis”, chiarendo dunque che “Sala” indica non il cognome bensì il luogo di nascita.
Nato probabilmente sul finire del dodicesimo secolo, e “sentendo fin dall’infanzia di essere chiamato al servizio divino” - scrive Irico - il giovane Uberto inizia gli studi religiosi, e passata l’adolescenza è consacrato sacerdote. E’ di sicuro un bravo pastore, tanto che ben presto diventa arciprete della cattedrale di Vercelli, chiesa nella quale è incardinato anche un fratello, il canonico Nicolao. La sua fama giunge fino a Roma, riceve il titolo di “Suddiacono della Sede apostolica”, un ruolo di sola collaborazione ma comunque privilegiato, durante i solenni pontificali. Nel 1228 Papa Gregorio IX lo nomina vescovo di Como, superando l’indecisione di quel Capitolo della cattedrale che pur avendo il diritto di nomina tardava a scegliere fra tre candidati.
Il compito di monsignor Uberto non è facile, la diocesi è molto vasta arrivando a comprendere anche gran parte dell’attuale Canton Ticino, che rientrerà nei confini diocesani elvetici solamente a fine ‘800; simile sconfinamento non è senza conseguenze, tanto che ad un certo punto si verificheranno episodi di ribellione dei Luganesi nei confronti della Chiesa comasca, risolte grazie al deciso intervento dell’Imperatore.
Corrono tempi politicamente difficili, con rapporti tempestosi tra Impero e Papato, tanto che addirittura l’imperatore Federico II è sotto doppia scomunica. La città di Como, fedele all’Imperatore, è stata già sottoposta tempo addietro a interdetto e al suo interno sono in lotta per il potere famiglie guelfe e ghibelline.
Anche nel mondo religioso non c’è pace. Le cronache citano lunghe contese tra i monaci benedettini di sant'Abondio e i frati domenicani di san Giovanni di Pedemonte. E poi ci sono da confutare le eresie catara e patarina, particolarmente diffuse e vivaci. A tal fine Uberto, in accordo con il Comune, si affida ai Domenicani. Gli eretici tramano, meditano di togliere di mezzo l’inquisitore ufficiale, il domenicano fra Pietro da Verona, gli tendono un agguato e lo colpiscono a morte sul capo con un’accetta. Il povero frate sarà canonizzato nel 1253 e da quel momento venerato come san Pietro Martire anche in molte parrocchie del Monferrato, in particolare è a lui intitolata la chiesa quattrocentesca di Morano sul Po, con un grande affresco che raffigura il santo con il Vangelo in mano e l’accetta, strumento del martirio, infisso sulla testa.
Nonostante le difficoltà politiche e religiose, Uberto opera con impegno “per la savia amministrazione” della diocesi. A Como, che da pochi anni ha visto alzarsi il tempio di San Francesco sponsorizzato addirittura dal futuro santo Antonio da Padova, sorgono nuove chiese, probabilmente anche grazie all’aiuto economico dello stesso vescovo. Tra queste, San Giovanni in Pedemonte, accanto al grande convento domenicano, consacrata nel 1230 (l’una e l’altro saranno distrutti completamente a inizio ‘800). Sono tempi di ristrettezze economiche, ma il bilancio diocesano dispone di buone rendite grazie anche alla vendita di metalli, specie ferro e argento, ricavati dalle miniere che nel 1231 un privilegio di Federico II assegna in esclusiva al vescovo.
Uberto, “stimatissimo per la sua vita esemplare”, muore nel 1259. Avendo sempre avuto grande amicizia con i Domenicani, aveva chiesto di essere sepolto nella loro chiesa di San Giovanni. Sulla sua tomba una semplice epigrafe, che rammenta la stima per il martire Pietro : “REVERENDISSIMUS UBERTVS VERCELLENSIS - COMENSIS EPISCOPUS - QUI DIVI PETRI MARTYRIS TEMPORE IN HUMANIS AGEBAT - HAC CLAUDITUR URNA”. Come si vede, anche sul sepolcro appare l’errata dizione di “vercellese”. Tra le ultime volontà, un lascito monetario di alcuni “solidi” al monastero cisterciense di Lucedio, per messe da celebrare in suo suffragio.
aldo timossi
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FOTO. Como, un quadro di metà '600 che ha in primo piano chiesa e convento di san Giovanni Pedemonte, ove su sepolto il vescovo Uberto di Sala.