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Santi, beati, venerabili, servi di Dio (8)

di Aldo Timossi - Beata Margherita di Savoia, Marchesa del Monferrato

Tra le figure del Martirologio Romano, ultima edizione 2004 - ben 6.658, ma il repertorio è redatto come libro liturgico, un elenco esauriente arriverebbe per qualche fonte addirittura a ventimila e forse molto oltre - alla data del 23 Novembre è fissato il ricordo della “beata Margherita di Savoia, che, rimasta vedova, si consacrò a Dio nel monastero delle monache dell’Ordine dei Predicatori da lei fondato”. Non ha origini monferrine, ma può considerarsi tale a pieno titolo, essendo stata Marchesa del Monferrato, che frequentò spesso e governò.

Figlia di Amedeo e di Caterina di Ginevra, nasce nel 1382 o forse qualche anno dopo; vive i primi anni nel contesto del Principato d’Acaia. Come d’uso tra casate nobili, si pensa di addolcire i non buoni rapporti (più volte affidati alla armi) con il Marchesato di Monferrato, organizzando il matrimonio con il marchese Teodoro II Paleologo, vedovo di Giovanna, figlia del Duca di Bar. Le nozze sono caldeggiate e celebrate il 17 gennaio 1403 dal vescovo di Acqui, Enrico Scarampi di Cortemilia.

Matrimonio obtorto collo: la fanciulla - scrive a metà ‘500 il biografo Serafino Razzi - pur se “bella corporalmente ha ben altre mire, sogna di volersi dar tutta al servizio divino”, giudica “vani e fugaci i piaceri del mondo, le grandezze e gli onori”, aggiunge che a testimonianza di tale proposito, “sotto le ricche vesti porta il cilicio”.

Teodoro e Margherita vivono anni difficili, in un Marchesato stretto tra i Savoia e i Visconti di Milano. Si spostano tra le residenze di Casale, Trino, Moncalvo (la preferita), Pontestura, Acqui, Genova. Una registrazione nell’obituario di Santa Maria di Lucedio, attesta che il Marchese cessa di vivere il 25 aprile 1418; oggi è ancora sepolto nella parrocchiale di San Francesco di Moncalvo, a lato dell'altar maggiore. Con lui il Marchesato ha raggiunto quasi la massima estensione territoriale della sua storia, e la vedova Margherita, già “saggia consigliera di suo marito”, affianca con abilità il figliastro Giovanni Giacomo. Nel frattempo ha fatto voto di castità, quindi rifiuta la mano a Filippo Maria Visconti, duca di Milano, che addirittura ha chiesto l’intervento del Papa: da Roma arriva per la donna “l’indulto apostolico”, ma lei ringrazia e mantiene il no.

Già negli anni della giovinezza, sul suo spirito ha influito non poco il predicatore spagnolo Vincent Ferrer, domenicano e futuro santo, con il richiamo “a penitenza, purezza di costumi e correttezza di vita cristiana” alle genti di Spagna, Savoia, Delfinato, Bretagna, arrivando anche in Italia ed in particolare in Piemonte. Predicò a lungo contro gli errori dei catari e dei valdesi, si ricorda un suo incontro ad Alessandria con il francescano Bernardino da Siena, e lui stesso ebbe a scrivere: “son pure penetrato nel Monferrato, pregato dal principe che lo governa e dai suoi sudditi”. Quel predicatore vivace, spesso indicato nei documenti con il nome italianizzato di Vincenzo Ferreri (quale sorpresa vederne una grande statua nella chiesa di San Giacomo, ad Anagni; N.d.A.) è in qualche modo il direttore spirituale di Margherita, coadiuvato dal vescovo Scarampi, “uomo peritissimo nelle discipline ecclesiastiche, di straordinaria cultura e insigne per santità di vita”, elevato alla dignità di beato per i tanti miracoli attribuiti a chi visiterà la sua tomba.

Dopo un anno di lutto “lassate non solo le signorili veste, ma ogni mundano habito, se vestite dell’habito di S. Domenico detto habito di penitentia del terzo ordine, et non solo in l’habito si separò dal secolo, ma con tutto l’affetto volse discostarsi dal mondo, per il che dette principio doppo tal mutatione al reverendo monastero nella città d’Alba, et quello elesse per sua habitatione”. Ancor prima di stabilirsi definitivamente nel cuneese, e rammentando gli anni trascorsi con il marito nel Monferrato, Margherita e compagne si erano ritirate nella Badia di Grazzano, della quale aveva ottenuto dal Papa la disponibilità, “con tutti i suoi proventi”.

Nel 1446 Margherita e le consorelle passano al secondo ordine domenicano, sono suore di clausura. Il pontefice Eugenio IV approva tale disegno, con l’unione al palazzo del soppresso convento degli Umiliati e della chiesa di Santa Maria Maddalena, dalla quale il nuovo convento prende il nome. Soffre di gotta - curata maldestramente dai medici con un “vino leggiero e piccolo” - ma è instancabile nel dedicarsi ai più sfortunati: “intendendo essere nella città alcuni poveri infermi d’ogni subventione privi, non pensando punto alle grandezze del sangue suo, né alla sua signoril conditione, assetata et ardendo del Divino amore non si sdegnava subvenirli non dico solo con sue elemosine, ma ancora con la sua presentia di visitarli, et con le proprie mani di servirli, non tanto nel cibarli, come nel levarli ogni bruttezza dal capo et sordidezza, come suol fare ogni vilissima serva”.

Oltre all’Abbazia di Grazzano, non mancano le rendite, favorite dal rapporto preferenziale con il Marchesato monferrino, “confermato sia da alcune donazioni dei marchesi in favore della comunità, sia dalla bolla di Niccolò V del 1448, con cui si concedesse a Margherita di uscire dal monastero, in caso di necessità, per recarsi a Casale o dove fosse opportuno”.

Muore il 23 novembre 1464. Nel 1566 papa Pio V concede alle monache di commemorare la loro fondatrice. Il 29 novembre 1670, papa Clemente X la innalza agli onori dell'altare proclamandola beata. E’ diffusa la fama di virtù, eventi miracolosi, predizioni: Dio le appare in forma umana, portando in mano tre frecce, calunnia, infermità, persecuzioni, e dicendo che “dovrà gustarle tutte e tre”: quando si raccoglie in preghiera pare restare sospesa, attorniata da angeli; per sua intercessione una nobildonna da alla luce figli normali dopo il primo parto “mostruoso”; salva la città di Alba da una terribile tempesta; negli ultimi giorni di vita, sul convento appare una stella cometa, a Margherita si affianca la visione di Caterina da Siena, e nel momento del trapasso il campanone della chiesa suona senza che nessuno tiri la corda.

La salma sarà oggetto nei secoli di ripetuti trasferimenti. Dal primo sepolcro nel monastero, è trasferita nel coro della chiesa, quindi (1803) collocata in Duomo e nascosta in una piccola sacrestia; nel 1825 riportata in chiesa e deposta in una nuova urna argentea dono di Maria Cristina, vedova di Re Carlo Felice. Ricognizioni saranno effettuate dal vescovo Grassi nel 1941, dal successore Stoppa nel 1962 con il rivestimento di nuovi abiti monacali, sino all'ultima iniziata nel dicembre 2001 alla presenza del vescovo di Alba Sebastiano Dho assistito da rappresentanti degli Ordini di casa savoia, dalla commissione scientifica presieduta dal prof. Ezio Fulcheri e da quella storica con i casalesi Giulio Bourbon e Alberto Costanzo.

aldo timossi (8 – continua)

Ultimo pubblicato, martedì 16 gennaio, beato Secondo Pollo (cartaceo); l'articolo su Margherita è stato pubblicato venerdì 19 gennaio.

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