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Umberto Galimberti a Crea

Finiremo come l’Impero Romano”. Prospettiva decisamente severa, quella sentenziata venerdì sera a Crea al Giardino delle Parole di Itaca Monferrato, dal filosofo, sociologo, psicoanalista, giornalista e accademico Umberto Galimberti, invitato per parlare di “Evoluzione o involuzione della società?”.  Partito dalla visione nichilista attiva in cui, malgrado l’impostazione religiosa della cristianità che identifica il passato, come spazio del peccato, il presente, dell’espiazione, e il futuro, della redenzione e salvezza, per il filosofo Galimberti, oggi, manca lo scopo. Senza uno scopo, il modello triadico, dato dal coefficiente a-storico necessario a profilare la possibilità di un progresso, viene dunque a mancare; modello per altro ricorrente, in forma quasi ossessiva, nella medicina, nella scienza e nella psicanalisi, tra le altre.

La causa? Spesso si parla, abusandone, di perdita dei valori ma, “i valori non sono entità metafisiche che scendono dall’alto; sono convenzioni sociali che le società adottano”. “Manca lo scopo” ha più volte ripetuto Galimberti, “per un futuro che non è più una promessa, ma è imprevedibilità”. Conseguenzialmente, i giovani, coloro che dovrebbero costruire il futuro, stanno male, senza sapere il perché. “Non sanno nominare la loro sofferenza divenuta psicologica, più che adolescenziale”. Senza uno scopo, verrebbero così a mancare le motivazioni per stare al mondo (circa 400 suicidi all’anno in Italia).

Davanti a questa realtà, “sperare e auspicare non serve: sono le parole della passività”. Mancanza di scopo, mancanza di educazione: tutto parte dall’educazione, quella infantile, prima di tutto. “E’ nei primi 6 anni di vita che si forma, definitivamente, la mappa cognitiva e formativa degli individui. E’ in quell’arco di tempo che si può fare bene o fare disastri. Ci troviamo, sempre più, padri quasi assenti e madri che si occupano più dei bisogni fisiologici, che non psicologici del bambino, proprio negli anni in cui si forma l’identità che, non è un dono sociale, ma frutto del riconoscimento altrui”. Riempire i figli di regali per sopperire alle mancanze di tempo e di relazioni, significa estinguere loro il desiderio: “è ovvio che, da adolescenti, non desidereranno più nulla”. Elogi poi per le maestre e il metodo utilizzato nelle Scuole Primarie (elementari) italiane, riconosciute al 6° posto mondiale. Pesanti, invece, le critiche per gli altri ordini e gradi. “Alle medie si compiono disastri assoluti; i professori non sanno nulla nell’età evolutiva”. Nelle scuole superiori poi, quando i giovani assistono alla trasformazione del loro corpo e del loro mondo, bisogna essere formati e pronti. “La scuola italiana non educa” ha proseguito l’ospite, “per educare, occorre entrare nella sfera emotiva e sentimentale. I prof devono seguire corsi di psicologia dell’età evolutiva e di teatro; andrebbero sottoposti a continui test di professionalità e personalità per verificarne l’empatia e le capacità comunicative e di affascinare. Se non posseggono queste caratteristiche, che facciano altro”. Come diceva Platone: la testa si apre quando è già aperto il cuore. “I giovani, assorti in un mondo virtuale, che non è la riproduzione di quello reale, non distinguono più la differenza tra il bene e il male, in quanto privi della risonanza emotiva dei loro comportamenti”, ha aggiunto Galimberti, “occorre recuperare il valore del sentimento, inteso come evento culturale, che si forma attraverso l’immenso patrimonio offerto dalla letteratura. Con la miseria linguistica di oggi, cosa volete che pensino i nostri ragazzi? I giovani non conoscono più il significato delle parole: se mancano le parole, mancano i pensieri, la capacità di dare un nome a ciò che ci accade e di trovare una via d’uscita”. Presupposti indispensabili per comprendere se stessi e il mondo, per uscire dall’individualismo dell’ego, riscoprire e ridisegnare una società, non più impostata sulla difensiva, “struttura perversa per proteggere i nostri privilegi”, e sul bisogno di sicurezza, che tolgono creatività. “Non credo più in questa società… finiremo come l’Impero Romano…” ha concluso l’impegnativo relatore della serata.

Chiara Cane