Notizia »
Le vendemmie di altri tempi - di Elio Gioanola

Nelle vigne di San Lorenzo salendo dalla valle di San Cristoforo
Lo zio, o barba, Salvino era nato nel 1893 ed è morto centenario nel 1993, quando io avevo la metà dei suoi anni.
Potei dunque vivere con lui molte delle vendemmie nelle vigne di San Lorenzo, raggiungibile dai carri tirati dai buoi salendo dalla carrareccia che dalla valle di San Cristoforo portava alla sua proprietà, o scendendo dalla stessa strada in senso inverso, a partire dalla sassonia che portava a Lu.
Le prime di quelle vendemmie cominciarono per me quando avevo sette o otto anni e c’era ancora la guerra, con i partigiani che si nascondevano in mezzo ai filarti, allora fittissimi e pieni di nascondigli, per sfuggire alle retate dei tedeschi.
Alla raccolta delle uve partecipava tutto il parentado, sotto la regia dell’imperativa nonna, con generi e nuore, coi nipoti maschi e femmine che stavano crescendo. Gli zii erano uomini nel pieno dell’età matura e portavano la brenta, dove le uve erano versate soprattutto dalle donne, mentre ragazzi e ragazze un po’ raccoglievano e un po’ si rincorrevano tra i filari giocando a nascondersi.
A mezzogiorno il Salvino suonava la campanella che stava sul boccalare del pozzo, tirava su le bottiglie dei vino che erano state al fresco e un secchio d’acqua che sapeva d’erba menta, e a quel suono tutti si raccoglievano sulla cavedagna che attraversava tutte le viti e si disponevano al pranzo.
Perché anche quegli ultimi tempi grami della guerra non mancava mai la roba da mangiare, i contadini tiravano fuori dai loro posti segreti la farina bianca, scomparsa per tutta la gente costretta a vivere con la tessera, i salami fatti in casa col maiale ammazzato di nascosto e le formaggette ancora grondanti di siero.
Non mancava certo la frutta, ma tutti erano pieni dell’uva luglienga e dell’aleatico mangiato durante la raccolta per gustarla; allora le pesche da vigna e le pere della coscia volavano tra i presenti al pranzetto, tutti allietati, grandi e piccoli dalla rara occasione di una mangiata davvero extra.
Ricordo specialmente le forchette, chiamiamole così, fabbricate sul posto da uno degli zii con le canne tagliate in modo adeguato, con i loro rebbi ben tagliati e la comoda impugnatura. In quei primi tempi era un peccato che non si potesse cantare, per non dare punti di riferimento pericolosi, ma finita la guerra era lo zio Manuele a intonare da par suo tutto un repertorio di canzoni prima proibite, che cominciava per lui socialista con Bandiera rossa.
Non è che tutti fossero pronti a seguirlo nell’occasione, ma allora era scoppiata la pace e nessuno si sarebbe permesso, nemmeno i parenti più cattolici, di fare qualche osservazione sgarbata. C’erano nel parentado le cugine più grandi, allora nel pieno del loro fiore, che avevano già il moroso e pensavano al matrimonio vicino, per questo cantavano e ridevano contente a tutte le stupidaggini che volavano in giro.
Ma la gioia era di tutti, perché il mondo sembrava rivivere dopo il lungo inverno del fascismo e della guerra e, se le vendemmie di prima della loro fine erano state un po’ sacrificate, grande era la felicità generale di quelle successive.
ELIO GIOANOLA
Pubblicato in cartaceo martedì 18 giugno a pag. 18-