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La storia degli ospedali monferrini (4)

In via Lanza il nuovo Santo Spirito di Casale (“permagnificus”)

Al nuovo Santo Spirito di Casale i proventi non mancano, anzitutto donazioni in denari e proprietà da parte di nobili e possidenti. Tra i primi sponsor, Anna d’Alençon.

Nel 1522, vedova da quattro anni del marchese Guglielmo IX, regge il Marchesato per il giovane figlio, futuro Bonifacio IV. Non disponendo di grandi sostanze (ha dovuto vendere persino gli argenti di famiglia per salvare il Marchesato dall’esercito imperiale guidato da Prospero Colonna) decide comunque di confermare all’ospedale i privilegi precedenti, consistenti in “immunità e piena esenzione da tasse per li beni, effetti e frutti del medesimo ospedale, e la prerogativa che le cause di detto luogo più non si possano giudicare che dal senato del Monferrato”. Anche gli Agostiniani si danno da fare. Nel 1549 il vicario generale fra Carlo da Livorno (Ferraris), già priore a Casale, cura l’istituzione di una società di “morigerati e caritatevoli cavalieri e dame, sotto il titolo di S. Spirito, che con santa emulazione avessero inspezione, e servissero i poveri infermi”.

Il “permagnificus”, più che magnifico, unico ospedale viaggia dunque spedito, a pieno regime, occupandosi di pellegrini e malati. I “clienti” non mancano, e a fine ‘500 si espande in edifici attigui, creando tra l’altro (1597) un’infermeria per le donne.

Tra le sue mura trovano ospitalità e assistenza anche i “vulgo concepti”, gli infanti abbandonati o che hanno comunque padre sconosciuto e la madre (sempre certa) non può mantenere. Quest’ultimo impegno risulta nel tempo assai gravoso, tanto che ad inizio ‘600 il duca Vincenzo Gonzaga, “essendo informato che il numero degli esposti è cresciuto tanto e cresce ogni giorno”, mettendo in crisi il bilancio ospedaliero al punto che si devono fare debiti, ordina che le madri non maritate, anche se meretrici, dicano sotto giuramento “di chi sono restate gravide”; il padre così individuato, sia costretto a mantenere il nuovo nato. Un modo per rimediare “a molti abusi dei ricchi, che non si vergognano di commettere il peccato, poi mandano le carni loro all’ospedale”!

L’impegno dei Gonzaga per dare fiato all’ospedale prosegue nei decenni successivi. Il duca Ferdinando, legato alla città anche da un finto matrimonio (durato pochi mesi, il tempo di fare un figlio, Giacinto) con la casalese contessina Camilla Faà di Bruno, e noto per il lusso che lo costringe a fare debiti, non può spendere denari di tasca propria, quindi nel 1620 si limita a confermare “i privilegi d'immunità ed esenzione concessi da suoi antecessori a favore dell' ospedale di santa Maria delle Grazie, alias di san Spirito di Casale, per i fondi, frutti e persone del medesimo anche servienti”; dunque non sborsa nulla di proprio, ma bontà sua aggiunge la “facoltà di questuare per tutto il ducato, a comodo di detto ospedale”!

E’ vizio di famiglia, perché quarant’anni dopo, Carlo II adotta la stessa tecnica. Usa molte delle entrate per finanziare i propri divertimenti, spende e spande, più volte lo vedono in trasferta a Casale per incontrare l’amante, la bella e giovane contessina Margarita della Rovere (al tempo la storia è al centro di un gossip-romanzo galante:https://www.nuovorinascimento.org/n-rinasc/testi/pdf/leti/amore.pdf).

Anche lui sceglie di costringere altri a finanziare il Santo Spirito, e nel 1658 “comanda a tutti i notari delle città , terre, e luoghi sì immediati che mediati del nostro Stato di Monferrato, presenti e futuri, che da qui avanti prima di ricevere alcun testamento, codicillo, donazione per causa di morte, ed altra ultima volontà, debbano esortare i testatori, e persone, che come sopra disporranno de' proprii beni, a lasciare, se loro piace, qualche cosa al predetto ospedale, facendone constare nel medesimo testamento”! Il notaio che dovesse trascurare il pressante invito, è multato di sei scudi! Altra conferma di privilegi, nel 1686, con Ferdinando Carlo di Gonzaga-Nevers, ultimo duca di un Monferrato che, divenuto ducato nel 1574, ad inizio ‘700 - dopo decenni di vita travagliata da conflitti per la successione, che vedono le povere popolazioni travolte da soldati savoiardi, francesi, spagnoli e imperiali - cesserà di avere vita autonoma, passando in mano ai Savoia.

Accanto al servizio ospedaliero, Casale vede nascere a metà Settecento una nuova istituzione, l’Ospizio della Carità, voluto nel 1740 da Carlo Emanuele III per ospitare i poveri, nell’ambito del suo progetto di eliminazione della povertà nello Stato sabaudo. Su progetto dell’architetto Bernardo Antonio Vittone, “con i regi sussidii, elemosine e legati si comperarono alcune case sulla piazza d'armi, e si cominciò l'edificio”. Nel 1744 - è il De Conti ad annotarlo – “ridotta a perfezione la fabbrica dell'ospedale di carità, e resa abitabile, furono introdotti nel mese di novembre detti poveri”. Di fatto, sanità e assistenza cambiano anche il volto urbanistico della città. L’antica piazza delle armi viene poco alla volta occupata da nuove costruzioni. E l’ospedale di carità è destinato a non cambiare l’originaria destinazione, tanto che ancora oggi funziona come struttura assistenziale per anziani, conosciuta da sempre come “casa di riposo”, in via Cavour.

Intanto il Santo Spirito ha successo, serve espandersi. Tra il 1780 e il 1790 hanno buon esito le pressanti richieste del vescovo Giuseppe Luigi Avogadro e del conte Pio Felice Sordi di Torcello, nelle rispettive vesti di presidente e amministratore. Arrivano nuove donazioni, viene demolito e rifabbricato, su disegno di certo capomastro Giovanni Antonio Vigna, milanese, “il braccio che spalleggia la contrada di Po”, quindi si aggregano immobili attigui, aprendo una nuova strada.

Nel 1794 il De Conti annota che l'ospedale "tiene 90 letti per gli infermi, 12 per i pazzerelli, e fa alimentare in case private fino all'età di 9 anni quanti spurii gli vengono recati alla ruota”, cioè neonati abbandonati. L'organico è composto di due medici, due chirurghi, un flebotomista, infermieri e infermiere, il custode dei pazzi, l’addetta alla ruota degli esposti, definita "la nutrice”.

Anche nella vicina Valenza, qualcosa si muove.

aldo timossi (4 - continua)

FOTO. Via Lanza, l'edificio che ospitava l'ospedale Santo Spirito